L’estate è ormai alle porte, e con il caldo si accentuano i disturbi delle gambe, quella fastidiosa sensazione di pesantezza e stanchezza, che ci accompagna anche d’inverno si fa particolarmente sentire in questi mesi. Le gambe appaiono gonfie, dolenti, arrossate e calde soprattutto dopo una lunga giornata lavorativa trascorsa seduti o sempre in piedi. L’assenza di movimento associata al caldo fa infatti aumentare l’edema soprattutto nelle zone più declivi, piedi e caviglie. Fortunatamente ci sono molti semplici rimedi che permettono di migliorare la sintomatologia e affrontare con più serenità questi mesi di caldo.
Vediamoli insieme:
Tanta acqua: bere almeno 2 litri di acqua al giorno per proteggere il nostro organismo dalla disidratazione, soprattutto quando in giro nelle ore più calde della giornata, ma soprattutto per permettergli di eliminare tutte le tossine in eccesso. Quando possibile, aggiungere all’acqua integratori drenanti come il Maxidren che massimizzano l’effetto depurante e combattono la ritenzione idrica;
Idratazione della cute: La disidratazione influisce sia sul bilancio idrico del corpo sia sulla cute che tende a seccarsi e a screpolarsi, inoltre anche l’esposizione solare “lavorativa” la danneggia, per questo è bene applicare creme idratanti mattina e sera, meglio ancora se all’attività idratante si aggiunge anche una attività veno e capillaro tonica. Ci sono molte creme che presentano entrambe queste caratteristiche, come ad esempio il Tonogel che da un piacevole effetto rinfrescante;
Movimento: Per aiutare lo scarico venoso e ridurre il gonfiore alle gambe è bene fare almeno 30 minuti di passeggiata al giorno. Fate attenzione alla temperatura, se uscite quando il sole è ancora alto portate sempre con voi una bottiglietta d’acqua e coprite la testa con un cappello;
Alimentazione: Per combattere al meglio il caldo e la ritenzione idrica è bene impegnarsi in una alimentazione più ricca di frutta e verdura e limitare il più possibile cibi pesanti e ad alto contenuto calorico;
Esercizi per le gambe: Nel tempo libero è bene effettuare piccoli esercizi che permettano di mettere il moto tutte le catene muscolari degli arti inferiori per sgonfiare le gambe e sentirle più leggere;
Terme: il termalismo è un ottimo rimedio per la sintomatologia delle gambe gonfie. L’utilizzo del metodo Kneipp, con passaggi alternati in acqua calda e fredda, è un ottimo metodo per attivare il microcircolo e attenuare il gonfiore;
Massaggi e pressoterapia: I massaggi sono un toccasana per ridurre la tensione muscolare, favorire il drenaggio linfatico e favorire la mobilità articolare soprattutto nelle donne anziane. Esiste però anche la pressoterapia che permette, attraverso l’uso di gambali pneumatici, di sgonfiare le gambe e favorire il linfodrenaggio. Questi macchinari ormai hanno prezzi estremamente contenuti e l’acquisto ne permette un uso giornaliero che migliora molto la sintomatologia degli arti inferiori;
Pediluvi: Prima di andare a dormire immergere per 15-20min i piedi in acqua fredda e bicarbonato, è possibile aggiungere oli essenziali o sali per ammorbidire la pelle. Dopo averli asciugati idratarli abbondantemente con creme idratanti;
Flavonoidi: i flavonoidi posseggono numerosi effetti benefici su tutto l’organismo. Esistono dei preparati studiati appositamente per dare sollievo alle gambe e combattere la ritenzione idrica. Il Flavotonic ad esempio agisce a più livelli, dal tono venoso al recupero muscolare grazie alla presenza di Diosmina e L-carnitina. Vanno assunti due volte al giorno possibilmente lontano dai pasti per massimizzarne l’assorbimento;
Impacchi: Esistono numerose ricette per preparare degli impacchi da applicare sulle gambe. In particolare quelli con le foglie di tè sono particolarmente semplici da preparare. Infatti basta lasciare le foglie in infusione in acqua bollente per tutta la notte, la mattina successiva immergere delle garze di cotone e applicarle su caviglie e gambe per almeno 10-15 minuti.
Questi consigli aiutano ad affrontare al meglio l’estate, qualora non dovessero essere sufficienti è bene ricorrere al consiglio di un medico per indagare a fondo la causa e trattarla nel migliore modo possibile.
Il Flavotonic è un integratore di nuova generazione di qualità rivolto al trattamento ma soprattutto alla prevenzione delle patologie vascolari. La sua formulazione unica è stata studiata per fornire un supporto anche nello sportivo grazie alla presenza di L- Carnitina.
I singoli flavonoidi sono stati scelti con cura sulla base di studi scientifici che hanno dimostrato l’elevata efficacia nel trattamento delle patologie vascolari.
I flavonoidi contenuti in questo prodotto sono sotto forma di nanopolveri (anche detti micronizzati); questo processo permette di aumentare notevolmente la superficie di contatto delle polveri in modo da favorire l’interazione tra il polimero e le cariche minerali. Questo permette un maggiore assorbimento intestinale dei flavonoidi e quindi un effetto maggiore.
Cosa sono i flavonoidi:
I flavonoidi sono una categoria di composti naturali che si trovano all’interno di piante e frutti. La dieta moderna non sempre permette di assumere sufficienti dosi di flavonoidi, per questo l’uso degli integratori è sempre più consigliato.
Agiscono a vari livelli:
Potenziano il sistema immunitario;
Modulano l’infiammazione, soprattutto a carico del sistema cardiovascolare;
Migliorano il trofismo di Arterie, Vene e capillari;
Agiscono come scavenger di radicali liberi riducendo lo stress ossidativo soprattutto a carico del sistema venoso.
I flavonoidi sono fondamentali sia nel trattamento di patologie vascolari ma anche nella prevenzione. La loro azione preventiva è estremamente efficace soprattutto nei confronti del sistema cardiovascolare. Rivestono un ruolo importante anche nello sportivo permettendo un più rapido recupero dopo l’esercizio fisico.
La carnitina è un amminoacido non essenziale che svolge un ruolo fondamentale per il metabolismo degli acidi grassi, questo li trasporta ai mitocondri permettendone l’ossidazione per ottenere energia.
La carnitina può essere assunta attraverso prodotti di origine animale come carne bianca e rossa. In letteratura sono presenti numerosi lavori che hanno dimostrato un miglioramento nelle performance sportive grazie all’aumento del consumo degli acidi grassi per la produzione energetica (1). Ha inoltre elevata efficacia nel ridurre lo stress metabolico e il dolore muscolare post esercizio riducendo la quantità di acido lattico prodotto durante lo sforzo prolungato (2). La carenza di carnitina può provocare una alterata funzionalità del muscolo cardiaco.
La carnitina è un trasportatore di acidi grassi, dal citoplasma vengono portati nella matrice mitocondriale dove avviene la Beta ossidazione.
Diosmina
La diosmina è presente soprattutto nei frutti del genere citrus (limoni, arance, pompelmi), si trova anche nei fiori della Tura (ruta graveoleolens) e nelle foglie del Bucco (Agathosma/Barosna betulina).
Esplica la sua funzione principale sulle vene, funge da veno-tonico e protettore vascolare, causa una costrizione delle vene e un aumento della resistenza dei vasi con riduzione della permeabilità.
A livello del microcircolo migliora l’equilibrio tra il processo coagulativo e quello fibrinolitico proteggendo così lo strato endoteliale. Agisce inoltre riducendo la rigidità dei globuli rossi favorendone lo scorrimento nei vasi di piccolo calibro.
Studi in vitro hanno evidenziato il ruolo della diosmina nel diminuire l’aderenza dei leucociti all’endotelio venulare, questo effetto combinato con la minore attivazione delle piastrine e del complemento riduce il rilascio di istamina e quindi il danno endoteliale indotto dai leucociti (3).
Studi in vivo effettuati su animali da laboratorio hanno dimostrato che la diosmina può aumentare il drenaggio linfatico, determinando un’azione benefica per gli edemi peri-vascolari (4).
Uno studio randomizzato in doppio cieco ha dimostrato che la formulazione orale micronizzata è associata ad un maggiore sollievo per paziente rispetto ai sintomi tipici legata all’insufficienza venosa, quali:
pesantezza degli arti;
sensazione di gonfiore;
dolorabilità.
Con la diosmina micronizzata è risultato migliore anche l’esito della pletismografia strain-gauge a 60 mmHg (massimo volume di riempimento a 60 mmHg e tempo totale di svuotamento) (5). Le differenze osservate a livello clinico fra diosmina micronizzata e non micronizzata sono in parte riconducibile ad un migliore assorbimento gastrointestinale della diosmina micronizzata (caratterizzata da particelle di dimensioni più piccole rispetto alla forma non micronizzata) (6). In caso di intervento chirurgico per la correzione delle vene varicose, la diosmina è risultata migliorare l’area sottocutanea interessata da emorragia (studio clinico multicentrico DEFANS). I pazienti, che avevano ricevuto diosmina per via orale nelle due settimane precedenti l’intervento chirurgico e per 30 giorni dopo, hanno evidenziato punteggi migliori per severità del dolore (punteggio VAS, Visual Analogic Scale: 2,9 vs 3,5 rispettivamente con e senza diosmina) ed estensione dell’emorragia (punteggio: 3,4 vs 4,6). La differenza in termini di qualità di vita nelle 4 settimane successive all’intervento (follow up) fra gruppo trattato e gruppo non trattato non ha raggiunto la significatività statistica (7).
In una metanalisi relativa a 5 studi clinici, condotti su ampia scala, e relativi all’uso della diosmina nel trattamento delle ulcere venose, l’uso del farmaco è risultato clinicamente significativo soprattutto per le ulcere di medie dimensioni (5-10 cm2) che persistevano da almeno 6-12 mesi (8).
La combinazione diosmina/esperidina è risultata efficace nel trattamento dei linfedemi della parte superiore del corpo, che si verificano in circa il 20% delle pazienti dopo terapia standard per il cancro al seno (9).
Anche negli sportivi professionisti, lo sforzo prolungato causa una “varice da sforzo” Questa regredisce con la fine dell’attività sportiva. Anche nello sportivo quindi l’integrazione di flavonoidi protegge dai danni a lungo termine al sistema venoso.
Esperidina
Anche l’esperidina si trova all’intero degli agrumi. Ha effetti ipocolesterolizzanti e cardioprotettivi. Si è rivelata efficace nella modulazione dei processi infiammatori a carico del sistema venoso in particolare sul miglioramento del trofismo cellulare.
Uno studio effettuato su ratti ha evidenziato una attività antiossidante e antiapoptotica in particolare quando usata in prevenzione (10).
In combinazione con la diosmina si potenzia l’efficacia nel proteggere l’intero sistema vascolare dallo stress ossidativo.
Rutina
La rutina è comunemente conosciuta come rutoside ed è anch’essa presente nelle piante del genere citrus oltre che nel grano saraceno, nel vino rosso, menta eucalipto e altre fonti vegetali.
Svolge una funzione antiossidante in quanto è in grado di legarsi al ferro bivalente impedendo il legame con il perossido d’idrogeno riducendo così la formazione di radicali liberi (11).
Rafforza la parete capillare e riduce i sanguinamenti, contrasta l’edema fornendo un sollievo per i sintomi legati alla circolazione linfoematica.
L’uso degli estratti di Adansonia digitata si è dimostrata 10.2 volte più potente della vitamina c nell’eliminazione dei radicali superossido (12).
Meliloto
Il meliloto è una pianta officinale dal cui fiore vengono estratte le cumarine.
Le proprietà farmacologiche dimostrate sono: diuretiche, antiedemigene e flebotoniche. Gli effetti maggiori della cumarina sono sul drenaggio linfatico, essenziale per garantire l’assorbimento dei liquidi presenti negli spazi extracellulari.(13) In casi di scarsa circolazione linfatica, si verifica un accumulo di liquidi nei tessuti con conseguente gonfiore soprattutto nelle zone declivi, quindi caviglie e piedi. Molto utile quindi nei casi di vene varicose e di tromboflebite.
La sua azione non è anticoagulante in senso stretto ma blocca l’azione della VitK responsabile della ossidazione dei fattori II, VII, IX e X (definiti vitamina K – dipendenti in quanto necessitano della vitamina K per svolgere la loro azione biologica) la vitamina K è infatti indispensabile per l’azione di un enzima epatico (carbossilasi) che rende i fattori suddetti capaci di legare il calcio e di ancorarsi ai fosfolipidi piastrinici carichi negativamente (14,15).
Tra gli altri effetti delle cumarine troviamo:
Antibatterica;
Foto-sensibilizzante;
Sedativo per favorire il sonno.
Centella
La centella è una pianta officinale appartenente alla famiglia delle Apiaceae o Ombrellifere.
La sua funzione è dovuta alla combinazione di 3 composti terpenici: asiaticoside, acido asiatico, acido madecassico, questi stimolano l’incameramento della lisina e prolina nell’endotelio vascolare (16).
Aumenta la produzione di collagene migliorando il tono e la resistenza di arterie e vene. La sua azione si esplica anche sulla cicatrizzazione, utile quindi nel trattamento di ulcere cutanee o nelle ustioni (17).
La sensazione di pesantezza e gonfiore interessa sia uomini che donne. Con il miglioramento del flusso venoso e la riduzione dell’edema migliora la sintomatologia.
Bibliografia
1. Effect of Glycine Propionyl-L-Carnitine on Aerobic and Anaerobic Exercise Performance.
Webb A. Smith, Andrew C. Fry , Lesley C. Tschume , Richard J. Bloomer.
2. Effects of a multi-nutrient supplement on exercise performance and hormonal responses to resistance exercise.
William J. Disa L. HatfieldBarry A. SpieringJakob L. VingrenMaren S. FragalaJen-Yu HoJeff S. VolekJeffrey M. AndersonCarl M. Maresh.
3. Cellular basis of inflammation, edema and the activity of Daflon 500 mg.
Friesenecker B1, Tsai AG, Intaglietta M.
4. A lymphatic function of Daflon 500 mg.
Labrid C.
5. Advantage of a micronized flavonoidic fraction (Daflon 500 mg) in comparison with a nonmicronized diosmin.
Amato C.
6. Comparison of the absorption of micronized (Daflon 500 mg) and nonmicronized 14C-diosmin tablets after oral administration to healthy volunteers by accelerator mass spectrometry and liquid scintillation counting.
Garner RC1, Garner JV, Gregory S, Whattam M, Calam A, Leong D.
7. Surgical correction of varicose vein disease under micronized diosmin protection (results of the Russian multicenter controlled trial DEFANS).
Pokrovsky AV1, Saveljev VS, Kirienko AI, Bogachev VY, Zolotukhin IA, Sapelkin SV, Shvalb PG, Zhukov BN, Vozlubleny SI, Sabelnikov VV, Voskanian YE, Katelnitsky II, Burleva EP, Tolstikhin VY.
9. Evaluation by lymphoscintigraphy of the effect of a micronized flavonoid fraction (Daflon 500 mg) in the treatment of upper limb lymphedema.
Pecking AP.
10. Protective role of hesperidin against γ-radiation-induced oxidative stress and apoptosis in rat testis.
Shaban NZ1, Ahmed Zahran AM2, El-Rashidy FH1, Abdo Kodous AS2.
11. Blanching influences the phenolics composition, antioxidant activity, and inhibitory effect of Adansonia digitata leaves extract on α-amylase, α-glucosidase, and aldose reductase.
Irondi EA1, Akintunde JK1, Agboola SO2, Boligon AA3, Athayde ML3.
12. A Methanol Extract of Adansonia digitata L. Leaves Inhibits Pro-Inflammatory iNOS Possibly via the Inhibition of NF-κB Activation.
Yihunie Ayele, Jung-Ah Kim, Eunhee Park, Ye-Jung Kim, Negussie Retta, Gulelat Dessie, Sang-Ki Rhee, Kwangoh Koh, Kung-Woo Nam, and Hee Seon Kim.
13. Pharmacogenomics: Its role in re-establishing coumarin as treatment for lymphedema”.
Farinola, N.; Piller, N. (June 1, 2005).
14. Vitamin K antagonism of coumarin anticoagulation. A dehydrogenase pathway in rat liver is responsible for the antagonistic effect.
R Wallin
15. Mechanism of action of warfarin. Warfarin and metabolism of vitamin K 1.
Bell RG, Sadowski JA, Matschiner JT.
16. Stimulation of collagen synthesis in fibroblast cultures by a triterpene extracted from Centella asiatica.
Maquart FX1, Bellon G, Gillery P, Wegrowski Y, Borel JP.
17. Partial-thickness burn wounds healing by topical treatment: A randomized controlled comparison between silver sulfadiazine and centiderm.
Saeidinia A1, Keihanian F, Lashkari AP, Lahiji HG, Mobayyen M, Heidarzade A, Golchai J.
Per Consenso Informato si intende l’autorizzazione obbligatoria rilasciata dal paziente dopo aver ricevuto le necessarie informazioni da parte del personale sanitario e prima di ricevere un qualsiasi atto sanitario ad esempio la scleroterapia: in buona sostanza il malato ha il diritto/dovere di conoscere tutte le informazioni disponibili sulla propria salute e sulla propria malattia, potendo chiedere al medico o a chi esercita la professione sanitaria tutto quello che non gli è chiaro.
Lo specialista, da parte sua, deve informare dettagliatamente il paziente riguardo al tipo di intervento al quale verrà sottoposto, all’anestesia, ai rischi e alle possibili complicazioni. Il paziente quindi deve avere la possibilità di scegliere, in modo informato appunto, se sottoporsi a una determinata terapia oppure no.
L’obiettivo della richiesta di Consenso Informato quindi, è quello di promuovere l’autonomia e la libertà di scelta dell’individuo nell’ambito delle decisioni mediche e costituisce il fondamento della piena ammissibilità, nell’ambito delle leggi, dell’attività sanitaria ed in sua assenza l’attività stessa costituisce reato.
Quindi non bisogna spaventarsi se su apposita modulistica si leggerà di numerose possibili complicazioni, persino di quelle più rare, perché il Consenso Informato non eliminerà eventuali responsabilità da parte medico.
Il Consenso Informato è un preciso dovere del medico e un diritto del paziente.
Sono una categoria di composti naturali che si trovano all’interno di piante e frutti. Alcuni sono riconoscibili come pigmenti (da qui il nome flavus=biondo), altri nei frutti e altri nelle foglie.
La loro funzione nelle piante è l’attrazione di insetti impollinatori, filtro dei raggi UV e fissaggio dell’azoto.
Più di 5000 flavonoidi sono stati classificati e divisi in base alla struttura chimica. Ogni sottogruppo possiede diverse caratteristiche chimico fisiche e specifici benefici.
L’uso dei flavonoidi risale alla cultura cinese e si ritrova anche nella medicina ayurvedica.
Esistono numerosi benefici attribuiti ai flavonoidi:
Longevità
Uno studio durato 25 anni pubblicato nel 1995 ha riscontrato che l’assunzione regolare di dosi più elevate di flavonoidi era associato ad una maggiore aspettativa di vita (1).
Malattie cardiovascolari
Uno studio del 2002 condotto su 10,000 pazienti ha dimostrato che la presenza di livelli più alti di quercitina (gruppo dei flavonoli e più precisamente è un tetraossiflavonolo) è associato a un numero inferiori di infarti. Quelli con livelli più alti di kaemferolo, ed esperidina presentavano un rischio inferiore di malattia cerebrovascolari.
L’uso dei flavonoidi si è dimostrato valido anche nel trattamento dei sintomi da insufficienza venosa, sulla riduzione del linfedema e nel rafforzamento della parete vascolare.
Diabete
Uno studio del 2013 ha concluso che l’aggiunta di concentrati di polifenoli aggiunti prima della cottura alla carne presentava minore rischio cardiovascolare in pazienti con diabete di tipo 2 per una riduzione della disfunzione endoteliale.
Cancro
Due studi hanno dimostrato che livelli più elevati di flavoni e kampiferina sono associati a rischi più bassi rispettivamente di cancro al seno e allo stomaco.
Malattie neuro-degenerative
Uno studio del 2000 condotto su pazienti anziani ha constatato che quelli livelli di flavonoidi più elevati avevano un rischio del 50% minore a 5 anni di sviluppare demenza.
Sullo stesso argomento un altro studio che ha analizzato le funzioni cognitive per 10 in pazienti sopra i 65 ha riscontrato una minore perdita di performance cognitiva associata a livelli più elevati di flavonoidi.
Anche sul Parkinson e sull’Alzheimer si è evidenziato un loro ruolo protettivo.
Una dieta corretta permette di assumere una quota sufficiente di flavonoidi dalle verdure e dalla frutta. Purtroppo però la cottura e la conservazione portano ad una drastica riduzione della concentrazione di flavonoidi. Stando ai dati della WHF, nella cottura delle verdure si può avere una riduzione fino al 80%. In altri casi la quantità di frutta da assumere per raggiungere una quota sufficiente di flavonoidi sarebbe troppo elevata. In questo ci vengono in aiuto i numerosi integratori presenti in commercio che permettono di assumere la dose consigliata di flavonoidi anche in persone con esigenze dietetiche specifiche.
FLAVOTONIC Polvere Solubile: energia per le gambe!
Flavotonic in polvere solubile è un integratore alimentare che favorisce la funzionalità del microcircolo, aiutando in questo modo a ridurre la sensazione di pesantezza e stanchezza alle gambe, contrastando gli inestetismi della cellulite; favorendo la funzionalità della circolazione venosa e il drenaggio dei liquidi corporei.[/vc_column_text][vc_btn title=”Compra ora!” color=”green” align=”center” link=”url:https%3A%2F%2Fwww.brothermedicals.com%2Fnegozio%2Fintegratori-alimentari%2Fflavotonic-polvere-solubile%2F||target:%20_blank|” css=”.vc_custom_1537267341238{padding-bottom: 10px !important;}”][/vc_column][vc_column width=”1/3″][/vc_column][/vc_row]
Bibliografia
1)Flavonoid intake and long-term risk of coronary heart disease and cancer in the seven countries study.
PRP è l’acronimo di “Platelet Rich Plasma” che sta per plasma ricco in piastrine. Si tratta di una metodica sviluppata da circa 20 anni che consiste nel prelievo, nella concentrazione e nella re-iniezione di piastrine del paziente.
Con questo metodo si sfruttano le enormi quantità di fattori rigenerativi presenti all’interno delle piastrine per potenziare la capacità rigenerativa dei tessuti.
Cosa sono le piastrine?
Le piastrine sono dei frammenti cellulari che originano da cellule (i megacaricoiti) presenti nel midollo osseo. La loro funzione principale è il controllo dell’emostasi (sanguinamenti). Al loro interno sono presenti 3 tipi di granuli che contengono fattori di controllo del sanguinamento (Fattore di Von Willenbrand, Fibrinogeno, Fattore V ecc), fattori di crescita (PDGF, TGF Beta), mediatori dell’infiammazione (istamina, serotonina ecc) ed altri enzimi (idrolasi e perossidasi).
Durante il sanguinamento si scatena un processo chiamato “aggregazione piastrinica”, ovvero le piastrine riconoscono il tessuto sub endoteliale (tessuto subito all’esterno del vaso sanguigno) e cominciano ad attaccarsi ad esso, contestualmente avviene un legame con le piastrine circostanti al fine di creare un “tappo” e bloccare il sanguinamento.
Oltre all’azione emostatica le piastrine partecipano alla rigenerazione e riparazione dei tessuti liberando fattori di crescita come TGF-beta e PDGF che stimolano la proliferazione cellulare, FGF che stimola la proliferazione dei fibroblasti, VEGF ed EGF che stimola la proliferazione endoteliale e vascolare.
Qual è la procedura del Platelet Rich Plasma?
La procedura è estremamente semplice e prevede 3 step.
Il primo step è un prelievo di sangue effettuato al momento di circa 10cc.
Il secondo consiste nelle centrifugazione del sangue in una provetta sterile a 3500 giri per 9 min. Cambiando gli additivi all’interno della provetta è possibile ottenere diversi tipi di PRP in base alle esigenze del medico.Una forma liquida che può essere re-iniettata, la forma in gel, più utilizzata nelle lesioni cutanee, permette di “poggiare” il materiale ottenuto direttamente sulla lesione. Questa metodica permette di ottenere un preparato con una concentrazione 5 volte superiore di piastrine rispetto al sangue prelevato.
Il terzo step consiste nella iniezione nella sede di destinazione. Questo può essere sottocutanea o per le zone più profonde si può usare una guida ecografica o radiografica.
Quali sono le applicazioni del PRP?
La sua applicazione è la rigenerazione dei tessuti, in ortopedia è utilizzato per il trattamento di lesioni tendinee, muscolari o ossee. In vulnologia per la guarigione delle ulcere. Le sue applicazioni sono numerose anche nel campo della medicina estetica per il ringiovanimento della pelle, per le smagliature, le cicatrici e la rigenerazione follicolare (diradamento dei capelli).
Quali sono gli effetti collaterali e le controindicazioni?
Può essere presente nella sede di iniezioni un lieve dolore che dura qualche giorno. Prima di ogni trattamento del Platelet Rich Plasma, viene effettuata una adeguata disinfezione per cui rischi di infezioni nella sede di inoculo sono molto bassi.
Le controindicazioni riguardano i pazienti con problemi di emostasi, con terapia in atto, in questi casi sarà necessario modificare la terapia prima del trattamento.
In pazienti con tumori è controindicato per il rischio, mai documentato ma solo sospettato, che i fattori di crescita possano favorire la crescita del tumore.
Non è necessaria nessuna preparazione prima del trattamento. Subito dopo il trattamento si consigliano alcune ore di riposo e astensione dall’attività fisica.
La Mesoterapia è una tecnica che consiste nell’iniezione intra-epidermica, intradermica e sottocutanea di farmaci o prodotti omeopatici. Vengono utilizzati aghi di piccolissimo calibro e può essere effettuata in quasi qualsiasi regione corporea.
La tecnica risale probabilmente ad Ippocrate ma è stata descritta ufficialmente dal Dott. Pistor nel 1952, il razionale alla base è quello di avvicinare il più possibile il farmaco alla sua sede di azione.
La tecnica permette quindi di utilizzare basse dosi di farmaco e dirigerlo lì dove serve per avere un effetto maggiore e prolungato nel tempo rispetto alla via di somministrazione intramuscolare endovenosa o orale.
La Mesoterapia presenta numerosi campi di applicazione, dalla terapia del dolore alle flebo-linfopatie fino alla medicina estetica. In particolare nella medicina estetica viene usata per il trattamento della cellulite, delle rughe, cicatrici e smagliature.
In cosa consiste una seduta di Mesoterapia?
Una volta identificato il tipo di trattamento farmacologico da inoculare e la sede, viene effettuata una disinfezione accurata dei tessuti per evitare possibili infezioni dei tessuti sottostanti. Questa deve essere particolarmente accurata nelle zone del volto dove è presente make-up. Le iniezioni sono multiple con l’inoculo di piccolissime quantità di prodotto. Esistono degli aghi multiiniettori che posseggono fino a 18aghi, questi non vengono usati per l’elevato dolore che causano durante la puntura. Gli aghi generalmente utilizzati hanno un calibro di 30G e sono lunghi 13mm.
Quali sono i rischi, le controindicazioni e gli effetti collaterali?
La Mesoterapia è una tecnica a bassissima invasività e a basso rischio, non ci sono rischi per la salute se effettuata in maniere idonea e con farmaci o prodotti validati per questo utilizzo.
Gli effetti collaterali sono:
Possibilità di piccoli lividi nella sede di iniezione che tendono a scomparire pochi giorni dopo la seduta. Questi possono essere risolti più velocemente con l’utilizzo di creme o integratori a base di lattoferrina;
Reazioni allergiche ai farmaci, queste sono estremamente rare e possono essere prevenute con una adeguata anamnesi, in caso di pazienti non a conoscenza di tali allergie un trattamento tempestivo permette di risolvere la reazione allergica senza problemi.
Le controindicazioni alla terapia sono:
Gravidanza e allattamento: per possibili, non conosciuti, effetti collaterali sul feto e sul bambino;
Presenza di allergie note ai farmaci o ad altre sostanze presenti in essi.
Cosa mi aspetta dopo il trattamento di Mesoterapia?
Non è prevista nessuna preparazione al trattamento di Mesoterapia. A seguito del trattamento è buona norma non effettuare massaggi o bagni in acqua calda nella giornata per evitare di mobilizzare il farmaco dalla sua sede e di ridurne quindi l’efficacia. Dal giorno successivo è possibile effettuare entrambi senza problemi.
Ecodoppler: esame per lo studio del sistema venoso e arterioso
L’Ecodoppler è un esame non invasivo e non doloroso che permette lo studio anatomico e funzionale del sistema venoso e arterioso. In particolare questo esame nella pratica è utilizzato soprattutto per lo studio del sistema degli arti inferiori in quanto più frequentemente soggetto ad alterazione funzionale.
Come funziona l’Ecodoppler?
Le apparecchiature moderne Ecodoppler sono dotate di molteplici modalità di funzionamento che permettono di analizzare nello specifico determinati parametri.
Il B-mode permette di studiare la morfologia delle pareti, dilatazioni, la mobilità, la presenza di trombi.
Il Color-Doppler pulsato permette di valutare tramite l’effetto “doppler” i flussi di sangue sia nel sistema venoso che arterioso e valutare la velocità, “restringimenti” del vaso, la direzione del flusso. Tramite questa metodica si possono ricercare reflussi nel sistema venoso, che sono alla base della patologia venosa, e stenosi del sistema arterioso permettendo di distinguere tra stenosi emodinamicamente significative e non.
Come si esegue l’esame Ecodoppler agli arti inferiori?
L’esame consta di due momenti, uno con paziente in clinostatismo e uno in ortostatismo.
Con il paziente disteso sul lettino, si effettua la “CUS” una compressione con la sonda sul decorso delle vene prossimali e distali, questa manovra permette di verificare il completo collasso della vena e quindi di accertarsi della sua pervietà (assenza di trombi all’interno del lume). Durante questa fase viene fatto un primo studio sull’anatomia del sistema artero-venoso e valutata la pervietà e il flusso prossimale e distale nel sistema arterioso.
Il paziente viene poi posto in ortostatismo su una pedana e si inizia lo studio funzionale vero e proprio. Viene richiesto al paziente di extraruotare a circa 90° la gamba da studiare e di fletterla leggermente. Si comincia con lo studio dell’anatomia e valutazione dei calibri nella regione inguinale. Vengono studiate il sistema profondo (femorale) e superficiale (femorale superficiale, safena con collaterali), pervietà e direzione del flusso. Vengono effettuate delle misurazioni sui calibri dei vasi e confrontati con i rilievi effettuati in clinostatismo. Viene richiesto al paziente di effettuare una manovra di Valsalva o di soffiare in una cannuccia. Queste due manovre fanno si che l’aumento di pressione nel torace sposti il sangue dall’alto verso il basso. In un paziente sano la presenza di un sistema valvolare competente impedisce al sangue di scendere verso il basso, viceversa un paziente con una insufficienza del sistema valvolare presenterà un reflusso rilevabile al color-doppler. Se viene identificata una incontinenza lo studio continua per identificare il “punto di fuga”, ovvero il punto il cui il sangue scende piuttosto che risalire, e il “punto di rientro” dove il sangue torna nel sistema profondo per essere riportato in alto.
Al paziente viene poi chiesto di mettersi di spalle e con gamba a 0° di flettere leggermente il ginocchio per permette lo studio del sistema venoso, profondo (poplitea) e superficiale (safena esterna, gemellari ecc) della gamba. Anche in questo caso si valutano i calibri e vengono effettuate delle manovre di attivazione che permettono di studiare “la tenuta” del sistema valvolare. Le manovre sono la compressione dei polpacci e la manovra di Paranà. Queste due attivano passivamente e attivamente la pompa muscolare del piede e del polpaccio e spostano il sangue dal basso verso l’alto, se il sangue successivamente refluisce verso il basso si è in presenza di una situazione patologica che va approfondita come si è fatto per la coscia.
L’esame termina con una compilazione di un referto nel quale si riportano i dati evidenziati dall’esame e, nel caso di alterazioni patologiche, le possibili strategie terapeutiche.
Quanto dura l’esame Ecodoppler agli arti inferiori?
L’esame ha una durata variabile da 20 minuti a più di 45 in caso di situazioni complesse nelle quali bisogna analizzare a fondo il sistema venoso incontinente per poter offrire la miglior strategia terapeutica.
È necessaria una preparazione prima dell’esame?
Non è richiesta nessuna preparazione prima dell’esame. Il paziente può mangiare regolarmente prima e dopo l’esame e può assumere la sua normale terapia farmacologica.
Ci sono controindicazioni all’esame Ecodoppler?
Non ci sono controindicazioni di nessun tipo in quanto è un esame non invasivo, esente da qualsiasi complicanza e può essere effettuato in qualsiasi momento.
Dopo l’esame cosa mi aspetta?
Nei pazienti che non presentano nessuna alterazione anatomo-funzionale il consiglio è quello di effettuare dei controlli periodici o di rivolgersi nuovamente al medico in caso di comparsa di una sintomatologia.
Nei pazienti che invece presentano una alterazione del sistema viene stabilito un piano terapeutico in accordo con il medico.
Linfedema, malattia invalidante: la Campania tra le regioni più colpite
La Campania è tra le regioni più colpite da linfedema, una malattia poco nota, ma molto invalidante. Stando ai dati dell’OMS, ogni anno in Italia si registrano 40mila nuovi casi e la nostra regione (che purtroppo vede crescere i soggetti obesi di anno in anno e detiene il triste primato dell’obesità infantile) è fanalino di coda.
Secondo le stime più recenti, sono 200mila in tutto il paese le persone colpite da linfedema primario (quindi ereditario e localizzato agli arti inferiori), 150mila quelle colpite da linfedema secondario (arti superiori) legato spesso a trattamento chirurgico o radioterapico a seguito di un tumore. I dati sono tuttavia approssimativi perché, anche a causa della mancanza di un registro ad hoc non si riesce ad avere un monitoraggio preciso. Un tema del quale si parlerà approfonditamente sabato prossimo nell’aula “Giuseppe Negro” della Federico II.
«Il linfedema – spiega Lanfranco Scaramuzzino, chirurgo vascolare – è una malattia cronica, progressiva e molto invalidante. La sua evoluzione attraversa quattro stadi, tutti caratterizzati dal rallentamento della circolazione linfatica, con un aumento del volume e del peso dell’arto o del segmento corporeo colpito. Ovviamente questo comporta anche gravi problemi psicologici e compromette notevolmente la qualità di vita del paziente». Al dramma si aggiunge il dramma, perché «in Campania, e nel resto d’Italia, manca un’assistenza omogenea e adeguata. I pazienti finiscono spesso nelle mani di personale, anche non sanitario, scarsamente formato».
Una delle cause del linfedema, come detto, è l’obesità. «In questi casi – spiega la nutrizionista Adriana Carotenuto – l’alimentazione dev’essere ipocalorica. Meglio aumentare il contenuto di fibre nella dieta, di legumi, frutta fresca, cereali integrali e frutti di bosco. Bisogna bere 2 litri di acqua al giorno e ridurre drasticamente il sale. In alcuni casi è consigliabile l’utilizzo di integratori flebotonici, drenanti e basificanti».
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Sanità: Linfedema, malattia invalidante, la Campania tra le regione più colpite
OMS: ogni anno in Italia si registrano 40mila nuovi casi. Campania è fanalino di coda
La Campania è tra le regioni più colpite da linfedema, una malattia poco nota ma molto invalidante. Stando ai dati dell’OMS, ogni anno in Italia si registrano 40mila nuovi casi e la nostra regione (che purtroppo vede crescere i soggetti obesi di anno in anno e detiene il triste primato dell’obesità infantile) è fanalino di coda. Secondo le stime più recenti, sono 200mila in tutto il paese le persone colpite da linfedema primario (quindi ereditario e localizzato agli arti inferiori), 150mila quelle colpite da linfedema secondario (arti superiori) legato spesso a trattamento chirurgico o radioterapico a seguito di un tumore. I dati sono tuttavia approssimativi perché, anche a causa della mancanza di un registro ad hoc non si riesce ad avere un monitoraggio preciso. Un tema del quale si parlerà approfonditamente sabato prossimo nell’aula “Giuseppe Negro” della Federico II.
«Il linfedema – spiega Lanfranco Scaramuzzino, chirurgo vascolare – è una malattia cronica, progressiva e molto invalidante. La sua evoluzione attraversa quattro stadi, tutti caratterizzati dal rallentamento della circolazione linfatica, con un aumento del volume e del peso dell’arto o del segmento corporeo colpito. Ovviamente questo comporta anche gravi problemi psicologici e compromette notevolmente la qualità di vita del paziente». Al dramma si aggiunge il dramma, perché «in Campania, e nel resto d’Italia, manca un’assistenza omogenea e adeguata. I pazienti finiscono spesso nelle mani di personale, anche non sanitario, scarsamente formato». Una delle cause del linfedema, come detto, è l’obesità.
«In questi casi – spiega la nutrizionista Adriana Carotenuto – l’alimentazione dev’essere ipocalorica. Meglio aumentare il contenuto di fibre nella dieta, di legumi, frutta fresca, cereali integrali e frutti di bosco. Bisogna bere 2 litri di acqua al giorno e ridurre drasticamente il sale. In alcuni casi è consigliabile l’utilizzo di integratori flebotonici, drenanti e basificanti».
Linfedema: malattia invalidante, la Campania tra le regioni più colpite
La Campania è tra le regioni più colpite da linfedema, una malattia poco nota ma molto invalidante
La Campania è tra le regioni più colpite da linfedema, una malattia poco nota ma molto invalidante. Stando ai dati dell’OMS, ogni anno in Italia si registrano 40mila nuovi casi e la nostra regione (che purtroppo vede crescere i soggetti obesi di anno in anno e detiene il triste primato dell’obesità infantile) è fanalino di coda.
Secondo le stime più recenti, sono 200mila in tutto il paese le persone colpite da linfedema primario (quindi ereditario e localizzato agli arti inferiori), 150mila quelle colpite da linfedema secondario (arti superiori) legato spesso a trattamento chirurgico o radioterapico a seguito di un tumore. I dati sono tuttavia approssimativi perché, anche a causa della mancanza di un registro ad hoc non si riesce ad avere un monitoraggio preciso. Un tema del quale si parlerà approfonditamente sabato prossimo nell’aula “Giuseppe Negro” della Federico II.
«Il linfedema – spiega Lanfranco Scaramuzzino, chirurgo vascolare – è una malattia cronica, progressiva e molto invalidante. La sua evoluzione attraversa quattro stadi, tutti caratterizzati dal rallentamento della circolazione linfatica, con un aumento del volume e del peso dell’arto o del segmento corporeo colpito. Ovviamente questo comporta anche gravi problemi psicologici e compromette notevolmente la qualità di vita del paziente». Al dramma si aggiunge il dramma, perché «in Campania, e nel resto d’Italia, manca un’assistenza omogenea e adeguata. I pazienti finiscono spesso nelle mani di personale, anche non sanitario, scarsamente formato».
Una delle cause del linfedema, come detto, è l’obesità. «In questi casi – spiega la nutrizionista Adriana Carotenuto – l’alimentazione dev’essere ipocalorica. Meglio aumentare il contenuto di fibre nella dieta, di legumi, frutta fresca, cereali integrali e frutti di bosco. Bisogna bere 2 litri di acqua al giorno e ridurre drasticamente il sale. In alcuni casi è consigliabile l’utilizzo di integratori flebotonici, drenanti e basificanti».
Salute: Campania tra regioni più colpite da Linfedema
Domani a Napoli 1° Giornata Regionale di sensibilizzazione sul Linfedema
La Campania è tra le regioni più colpite dal linfedema, malattia progressiva e invalidante che compromette la qualità di vita del paziente; è una patologia poco nota che colpisce il sistema linfatico e determina un rallentamento della circolazione linfatica, con accumulo di linfa e aumento del volume e del peso di un arto o del segmento corporeo colpito. Stando ai dati dell’OMS, ogni anno in Italia si registrano 40mila nuovi casi e la nostra regione è fanalino di coda. Per discutere di questa malattia, si terrà domani a Napoli la Prima Giornata Regionale di Sensibilizzazione sul Linfedema, al Policlinico dell’Università Federico II, organizzata da SOS Linfedema Onlus e ITA.L.F., articolazione italiana di International Lymphoedema Framework, associazione di linfologia.
Secondo le stime più recenti, sono 200mila in tutto il Paese le persone colpite da linfedema primario (quindi ereditario e localizzato agli arti inferiori), 150mila quelle colpite da linfedema secondario (arti superiori) legato spesso a trattamento chirurgico o radioterapico a seguito di un tumore. I dati sono tuttavia approssimativi, fanno sapere gli organizzatori, perché, anche a causa della mancanza di un registro ad hoc, non si riesce ad avere un monitoraggio preciso.
“Il linfedema – spiega Lanfranco Scaramuzzino, primario di Chirurgia vascolare nell’ospedale Internazionale Napoli – è una malattia cronica, progressiva e molto invalidante. La sua evoluzione attraversa quattro stadi, tutti caratterizzati dal rallentamento della circolazione linfatica”. Tra le cause del linfedema, l’obesità.
“In questi casi – dice la nutrizionista Adriana Carotenuto – l’alimentazione deve essere ipocalorica. Meglio aumentare il contenuto di fibre nella dieta, di legumi, frutta fresca, cereali integrali e frutti di bosco. Bisogna bere 2 litri di acqua al giorno e ridurre drasticamente il sale”. “Non di rado, la linfopatia si associa all’insufficienza venosa, alla patologia cardiovascolare più frequente nell’età geriatrica, al linfedema e sovrappeso ponderale. Il sesso più interessato è quello femminile e l’età più colpita va dai 20 ai 30 anni – afferma Angela Piantadosi, componente comitato scientifico SOS Linfedema Onlus, associazione nazionale per i pazienti di linfedema e patologie correlate – Dalla mancanza di un’assistenza omogenea ed adeguata sul territorio nazionale deriva la presa in carico degli ammalati, che comunque cercano una risposta ai loro problemi, da parte di personale, anche non sanitario, scarsamente formato”.
La prima giornata regionale di sensibilizzazione si terrà domani, a partire dalle 8.30 con interventi e una tavola rotonda che affronterà le problematiche assistenziali dei pazienti con la presenza, tra gli altri, di Lanfranco Scaramuzzino, Silvestro Scotti, presidente Omceo di Napoli, Generoso Andria, responsabile del Centro di coordinamento delle Malattie Rare della Campania; Angela Piantadosi, Sandro Michelini, presidente nazionale ITA.L.F. e Società italiana di flebologia, Marco De Fazio, direttore Uoc chirurgia generale dell’ospedale Incurabili di Napoli; Valeria Di Martino, direttore servizio professioni della riabilitazione ospedale Monaldi di Napoli, Annamaria Cangiano, referente campano SOS Linfedema.
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AULA “GIUSEPPE NIGRO” DELLA FEDERICO II
Linfedema, Campania al top delle regioni
NAPOLI. La Campania è tra le regioni più colpite da linfedema, una malattia poco nota ma molto invalidante. Stando ai dati dell’Oms, ogni anno in Italia si registrano 40mila nuovi casi e la nostra regione (che purtroppo vede crescere i soggetti obesi di anno in anno e detiene il triste primato dell’obesità infantile) è fanalino di coda.
Secondo le stime più recenti, sono 200mila in tutto il paese le persone colpite da linfedema primario (quindi ereditario e localizzato agli arti inferiori), 15 Omila quelle colpite da linfedema secondario (arti superiori) legato spesso a trattamento chirurgico o radioterapico a seguito di un tumore. I dati sono tuttavia approssimativi perché, anche a causa della mancanza di un registro ad hoc non si riesce ad avere un monitoraggio preciso. Un tema del quale si parlerà approfonditamente sabato prossimo nell’aula “Giuseppe Negro” della Federico II.
«Il linfedema – spiega Lanfranco Scaramuzzino, chirurgo vascolare – è una malattia cronica, progressiva e molto invalidante. La sua evoluzione attraversa quattro stadi, tutti caratterizzati dal rallentamento della circolazione linfatica, con un aumento del volume e del peso dell’arto o del segmento corporeo colpito. Ovviamente questo comporta anche gravi problemi psicologici e compromette notevolmente la qualità di vita del paziente». Al dramma si aggiunge il dramma, perché «in Campania, e nel resto d’Italia, manca un’assistenza omogenea e adeguata. I pazienti finiscono spesso nelle mani di personale, anche non sanitario, scarsamente formato».
Una delle cause del linfedema, come detto, è l’obesità. «In questi casi — spiega la nutrizionista Adriana Carotenuto – l’alimentazione dev’essere ipocalorica. Meglio aumentare il contenuto di fibre nella dieta, di legumi, frutta fresca, cereali integrali e frutti di bosco. Bisogna bere 2 litri di acqua al giorno e ridurre drasticamente il sale. In alcuni casi è consigliabile l’utilizzo di integratori flebotonici, drenanti e basificanti».
[/vc_column_text][/vc_tta_section][vc_tta_section title=”Prevenzione e Salute – 20/01/2017″ tab_id=”1487059916635-8ffee132-0eef”][vc_column_text]
Linfedema, le più colpite sono le donne
Molte persone nella loro vita hanno dovuto imparare il significato del termine “linfedema”. Si tratta, come spiega il chirurgo vascolare Lanfranco Scaramuzzino, di «una malattia cronica, progressiva e molto invalidante». Il chirurgo chiarisce anche che «la sua evoluzione attraversa quattro stadi, tutti caratterizzati dal rallentamento della circolazione linfatica, con un aumento del volume e del peso dell’arto o del segmento corporeo colpito. Ovviamente – dice – questo comporta anche gravi problemi psicologici e compromette notevolmente la qualità di vita del paziente». Al dramma si aggiunge il dramma, perché manca un’assistenza omogenea e adeguata. I pazienti finiscono spesso nelle mani di personale, anche non sanitario, scarsamente formato.
Le stime dell’OMS
Ogni anno, in Italia (dati OMS), si registrano 40mila nuovi casi. Il problema è che non esiste un monitoraggio preciso, perché non c’è un registro ad hoc. Si stima siano circa 200mila quelli colpiti da linfedema primario (ereditario, localizzato agli arti inferiori), 150mila da linfedema secondario (arti superiori), i cui casi sono legati molto spesso a trattamento chirurgico o radioterapico legato ad un tumore. Spesso la linfopatia si associa all’insufficienza venosa, ad alcune malattie cardiovascolari, al lipedema e all’obesità. Le più colpite sono le donne tra i 20 e i 30 anni.
Cattiva alimentazione
Una delle cause del linfedema, come detto, è l’obesità. «In questi casi – spiega la nutrizionista Adriana Carotenuto – l’alimentazione dev’essere ipocalorica. Meglio aumentare il contenuto di fibre nella dieta, di legumi, frutta fresca, cereali integrali e frutti di bosco. Bisogna bere 2 litri di acqua al giorno e ridurre drasticamente il sale. In alcuni casi è consigliabile l’utilizzo di integratori flebotonici, drenanti e basificanti». Alla terapia decongestiva complessa e combinata per la riduzione dell’edema si devono associare programmi di riabilitazione motoria e propriocettiva, programmi di terapia fisica, prescrizione di ortesi elastiche, addestramento al self-care. «Il tutto – dice la fisiatra Angela Piantadosi – deve avvenire nel più breve tempo possibile per limitare l’evoluzione fibrotica dell’edema prevenendo complicanze e migliorando la qualità di vita dei pazienti».
Il dibattito
Domani (Sabato 21 gennaio) al Policlinico dell’Università Federico II si terrà la 1° Giornata Regionale di sensibilizzazione sul linfedema. Intervengono tra gli altri: Silvestro Scotti, Generoso Andria, Angela Piantadosi, Sandro Michelini, Jean Paul Belgrado, Marco De Fazio, Valeria Di Martino, Lanfranco Scaramuzzino, Bruno Amato, Chiara Del Gaudio, Annamaria Cangiano, Katia Boemia, Adriana Carotenuto.
21 gennaio giornata sul linfedema, medici napoletani si mobilitano
Parte da Napoli la richiesta, “a gran voce”, affinché il 21 gennaio diventi la giornata nazionale sul linfedema.
E’ quanto emerso oggi durante la 1° Giornata Regionale di sensibilizzazione sul Linfedema svoltasi al Policlinico dell’Universita’ Federico II, organizzata da Sos Linfedema Onlus, associazione nazionale per i pazienti di linfedema e patologie correlate e Italf, articolazione italiana di International Lymphoedema Framework, la più importante associazione di linfologia.
“Con l’inserimento del linfedema nei Lea – ha spiegato la dott.ssa Angela Piantadosi, componente comitato scientifico Sos Linfedema Onlus – si potranno aprire nuovi percorsi per riconoscere diritti ai pazienti che spesso sono trattati in modo non adeguato. Adesso ci auguriamo che anche la Regione Campania possa fare la propria parte dal punto di vista assistenziale”.
“A livello locale non è facile trovare un centro che si occupi di questa patologia che ufficialmente conta 40mila casi annuali, ma che in realtà è sottostimato perche’ i casi sono 200mila all’anno. Si potrebbero prevenire i danni ma i problemi sono numerosi dal momento che i pazienti, soprattutto quelli del periodo post-oncologico, non sono ben indirizzati”, ha sottolineato il prof. Lanfranco Scaramuzzino, chirurgo vascolare dell’Ospedale Internazionale di Napoli.
“La disparità di trattamento dal punto di vista assistenziale mi ha costretto a spostare la residenza e andare a vivere da Napoli a Pozzuoli, passando dall’Asl Na1 alla 2”, e’ stata la testimonianza di suor Viola Mancuso, affetta da linfedema, durante la tavola rotonda moderata da Chiara Del Gaudio, giornalista di Rai1 – Unomattina, alla quale sono intervenuti, tra gli altri, Generoso Andria, Sandro Michelini, Jean Paul Belgrado, Marco De Fazio, Valeria Di Martino, Bruno Amato, Katia Boemia, Adriana Carotenuto.
“Se siamo qui oggi a portare avanti questa battaglia lo dobbiamo alla tenacia del nostro presidente nazionale Franco Forestiere, paziente affetto da linfedema, che in 10 anni ha portato all’attenzione nazionale le problematiche delle persone colpite da questa patologia”, ha detto Anna Maria Cangiano, rappresentante regionale Sos Linfedema onlus.
Nel corso della giornata, è intervenuta anche la consigliera regionale campana Flora Beneduce che ha illustrato una mozione che impegna la Giunta regionale e il governatore De Luca a mettere in campo “Ogni utile provvedimento affinché possa essere attivata in ogni azienda sanitaria idoneo centri di riferimento per la diagnosi e cura del linfedema”.
Il 21 gennaio diventi la giornata nazionale sul linfedema. È la proposta emersa durante la prima giornata regionale di sensibilizzazione svoltasi al Policlinico dell’Università Federico II, organizzata da Sos Linfedema Onlus, associazione nazionale per i pazienti di linfedema e patologie correlate e Italf, articolazione italiana di International Lymphoedema Framework, la più importante associazione di linfologia. “Con l’inserimento del linfedema nei Lea – ha spiegato la dott.ssa Angela Piantadosi, componente comitato scientifico Sos Linfedema Onlus – si potranno aprire nuovi percorsi per riconoscere diritti ai pazienti che spesso sono trattati in modo non adeguato. Adesso ci auguriamo che anche la Regione Campania possa fare la propria parte dal punto di vista assistenziale”.
“A livello locale non è facile trovare un centro che si occupi di questa patologia che ufficialmente conta 40mila casi annuali, ma che in realtà è sottostimata perché i casi sono 200mila all’anno. Si potrebbero prevenire i danni ma i problemi sono numerosi dal momento che i pazienti, soprattutto quelli del periodo post-oncologico, non sono ben indirizzati”, ha sottolineato il prof. Lanfranco Scaramuzzino, chirurgo vascolare dell’Ospedale Internazionale di Napoli. “La disparità di trattamento dal punto di vista assistenziale mi ha costretto a spostare la residenza e andare a vivere da Napoli a Pozzuoli, passando dall’Asl Na1 alla 2”, è stata la testimonianza di suor Viola Mancuso, affetta da linfedema. “Se siamo qui oggi a portare avanti questa battaglia lo dobbiamo alla tenacia del nostro presidente nazionale Franco Forestiere, paziente affetto da linfedema, che in 10 anni ha portato all’attenzione nazionale le problematiche delle persone colpite da questa patologia”, ha detto Anna Maria Cangiano, rappresentante regionale Sos Linfedema onlus.
Nel corso della giornata, è intervenuta anche la consigliera regionale campana Flora Beneduce che ha illustrato una mozione che impegna la Giunta regionale e il governatore De Luca a mettere in campo “Ogni utile provvedimento affinché possa essere attivata in ogni azienda sanitaria idoneo centri di riferimento per la diagnosi e cura del linfedema”.
[/vc_column_text][/vc_tta_section][vc_tta_section title=”Corriere del Mezzogiorno – 21/01/2017″ tab_id=”1486989041603-b467b572-e441″][vc_column_text]
Conoscere il Linfedema
Dalle 8.30 nell’aula <<Giuseppe Negro>> della Federico II prende il via la Prima Giornata Regionale di Sensibilizzazione sul Linfedema. L’iniziativa, che sara trasmessa in diretta su Facebook, e patrocinata, tra gli altri dall’Omceo di Napoli, dal Consiglio regionale della Campania, da Cittadinanza Attiva, Associazione Donne Medico e Simfer.
Tra gli altri, interverranno nel dibattito Silvestro Scotti, Generoso Andria, Angela Piantadosi, Sandro Michelini, Jean Paul Belgrado, Marco De Fazio, Valeria Di Martino, Lanfranco Scaramuzzino, Bruno Amato, Chiara Del Gaudio, Annamaria Cangiano, Katia Boemia, Adriana Carotenuto.
Aula Giuseppe Negro ore 8.30
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Il maggior numero dei 40mila casi annui è nella nostra regione
Linfedema, la Campania è fanalino di coda d’Italia
NAPOLI: Come se non bastassero i guai del comparto, ogni giorno arrivano statistiche che inchiodano la Sanità in Campania, Ecco l’ultima: la nostra regione è tra le regioni più colpite dal linfedema, malattia progressiva e invalidante che compromette la qualità di vita del paziente. Si tratta di una patologia che colpisce il sistema linfatico e determina un rallentamento della circolazione linfatica. Stando ai dati dell’Oms, ogni anno in Italia si registrano 40mila nuovi casi e la Campania è fanalino di coda.
Se ne discuterà oggi a Napoli nel corso della prima giornata regionale di sensibilizzazione sul linfedema, organizzata al Policlinico dell’Università Federico II da Sos Linfedema Onlus e Italf, Secondo le stime più recenti, sono 200mila in tutto il Paese le persone colpite da linfedema primario (quindi ereditario e localizzato agli arti inferiori). 150mila quelle colpite da linfedema secondario (arti superiori) legato spesso a trattamento chirurgico o radioterapico a seguito di un tumore. Una situazione pesantissima.
“Il linfedema – spiega Lanfranco Scaramuzzino. primario di Chirurgia vascolare nell’Ospedale Internazionale di Napoli – è una malattia cronica, progressiva e molto invalidante. La sua evoluzione attraversa quattro stadi, tutti caratterizzati dal rallentamento della circolazione linfatica”. Tra le cause del linfedema c’è anche l’obesità. “In questi casi – dice la nutrizionista Adriana Carotenuto – l’alimentazione deve essere ipocalorica. Meglio aumentare il contenuto di fibre nella dieta, di legumi, frutta fresca, cereali integrali e frutti di bosco.
Bisogna bere 2 litri di acqua al giorno e ridurre drasticamente il sale”. Non c’è manco a dirlo, un’assistenza omogenea ed adeguala sul territorio. Oggi si rifletterà su questo tema. Piove sul bagnato.
[/vc_column_text][/vc_tta_section][vc_tta_section title=”il Quotidiano del Sud – 23/01/2017″ tab_id=”1487059919948-4ca5caac-9f29″][vc_column_text]
Malattie progressive, Campania tra le regioni italiane più colpite dal linfedema
La Campania è tra le regioni più colpite dal linfedema, malattia progressiva e invalidante che compromette la qualità di vita del e paziente; è una patologia poco nota che colpisce il sistema linfatico e determina un rallentamento della circolazione linfatica, con accumulo di linfa e aumento del volume e del peso di un arto o del segmento corporeo colpito. Stando ai dati dell’Oms, ogni anno in Italia si registrano 40mila nuovi casi e la nostra regione è fanalino di coda. Per discutere di questa malattia, si è tenuta a Napoli la prima Giornata Regionale di sensibilizzazione sul linfedema, al Policlinico dell’Università Federico II, organizzata da Sos Linfedema Onlus e Italf, articolazione italiana di International Lymphoedema Framework, associazione di linfologia.
Secondo le stime più recenti, sono 200mila in tutto il Paese le persone colpite da linfedema primario (quindi ereditario e localizzato agli arti inferiori), 150mila quelle colpite da linfedema secondario (arti superiori) legato spesso a trattamento chirurgico o radioterapico a seguito di un tumore. I dati sono tuttavia approssimativi, fanno sapere gli organizzatori, perché, anche a causa della mancanza di un registro ad hoc, non si riesce ad avere un monitoraggio preciso.
“Il linfedema – spiega Lanfranco Scaramuzzino, primario di Chirurgia vascolare nell’ospedale Internazionale Napoli – è una malattia cronica, progressiva e molto invalidante . La sua evoluzione attraversa quattro stadi, tutti caratterizzati dal rallentamento della circolazione linfatica». Tra le cause del linfedema, l’obesità. «In questi casi – dice la nutrizionista Adriana Carotenuto – l’alimentazione deve essere ipocalorica. Meglio aumentare il contenuto di fibre nella dieta, di legumi, frutta fresca, cereali integrali e frutti di bosco. Bisogna bere 2 litri di acqua al giorno e ridurre drasticamente il sale».
Linfedema, la Campania è tra le regioni più colpite
La Campania è tra le regioni più colpite da linfedema, una malattia poco nota ma molto invalidante. Stando ai dati dell’OMS, ogni anno in Italia si registrano 40mila nuovi casi e la nostra regione (che purtroppo vede crescere i soggetti obesi di anno in anno e detiene il triste primato dell’obesità infantile) è fanalino di coda. Secondo le stime più recenti, sono 200mila in tutto il paese le persone colpite da linfedema primario (quindi ereditario e localizzato agli arti inferiori), 150mila quelle colpite da linfedema secondario (arti superiori) legato spesso a trattamento chirurgico o radioterapico a seguito di un tumore. I dati sono tuttavia approssimativi perché, anche a causa della mancanza di un registro ad hoc non si riesce ad avere un monitoraggio preciso.
Un tema del quale si è parlato approfonditamente sabato nell’aula “Giuseppe Negro” della Federico II. «Il linfedema – spiega Lanfranco Scaramuzzino, chirurgo vascolare – è una malattia cronica, progressiva e molto invalidante. La sua evoluzione attraversa quattro stadi, tutti caratterizzati dal rallentamento della circolazione linfatica, con un aumento del volume e del peso dell’arto o del segmento corporeo colpito. Ovviamente questo comporta anche gravi problemi psicologici e compromette notevolmente la qualità di vita del paziente».
Al dramma si aggiunge il dramma, perché «in Campania, e nel resto d’Italia, manca un’assistenza omogenea e adeguata. I pazienti finiscono spesso nelle mani di personale, anche non sanitario, scarsamente formato». Una delle cause del linfedema, come detto, è l’obesità. «In questi casi – spiega la nutrizionista Adriana Carotenuto – l’alimentazione dev’essere ipocalorica. Meglio aumentare il contenuto di fibre nella dieta, di legumi, frutta fresca, cereali integrali e frutti di bosco. Bisogna bere 2 litri di acqua al giorno e ridurre drasticamente il sale. In alcuni casi è consigliabile l’utilizzo di integratori flebotonici, drenanti e basificanti».
Parte da Napoli la richiesta, “a gran voce”, affinché il 21 gennaio diventi la giornata nazionale sul linfedema.
E’ quanto emerso oggi durante la 1° giornata regionale di sensibilizzazione svoltasi al Policlinico dell’Università Federico II, organizzata da SOS Linfedema Onlus, associazione nazionale per i pazienti di linfedema e patologie correlate e ITA.L.F., articolazione italiana di International Lymphoedema Framework, la più importante associazione di linfologia.
“Con l’inserimento del linfedema nei LEA – ha spiegato la dott.ssa Angela Piantadosi, componente comitato scientifico SOS Linfedema Onlus – si potranno aprire nuovi percorsi per riconoscere diritti ai pazienti che spesso sono trattati in modo non adeguato. Adesso ci auguriamo che anche la Regione Campania possa fare la propria parte dal punto di vista assistenziale”.
“A livello locale non e’ facile trovare un centro che si occupi di questa patologia che ufficialmente conta 40mila casi annuali, ma che in realtà e’ sottostimato perché i casi sono 200mila all’anno. Si potrebbero prevenire i danni ma i problemi sono numerosi dal momento che i pazienti, soprattutto quelli del periodo post-oncologico, non sono ben indirizzati”, ha sottolineato il prof. Lanfranco Scaramuzzino, chirurgo vascolare dell’Ospedale Internazionale di Napoli.
“La disparità di trattamento dal punto di vista assistenziale mi ha costretto a spostare la residenza e andare a vivere da Napoli a Pozzuoli, passando dall’Asl Na1 alla 2”, e’ stata la testimonianza di suor Viola Mancuso, affetta da linfedema, durante la tavola rotonda moderata da Chiara Del Gaudio, giornalista di Rai1 – Unomattina, alla quale sono intervenuti, tra gli altri, Generoso Andria, Sandro Michelini, Jean Paul Belgrado, Marco De Fazio, Valeria Di Martino, Bruno Amato, Katia Boemia, Adriana Carotenuto.
“Se siamo qui oggi a portare avanti questa battaglia lo dobbiamo alla tenacia del nostro presidente nazionale Franco Forestiere, paziente affetto da linfedema, che in 10 anni ha portato all’attenzione nazionale le problematiche delle persone colpite da questa patologia”, ha detto Anna Maria Cangiano, rappresentante regionale SOS Linfedema onlus.
Nel corso della giornata, è intervenuta anche la consigliera regionale campanaFlora Beneduce che ha illustrato una mozione che impegna la Giunta regionale e il governatore De Luca a mettere in campo “Ogni utile provvedimento affinché possa essere attivata in ogni azienda sanitaria idoneo centri di riferimento per la diagnosi e cura del linfedema”.
Le emorroidi devono essere considerate dei veri e propri cuscinetti endoanali, caratterizzati da una particolare tipologia di tessuto vascolare, costituita da un elevato numero di anastomosi artero–venose e sostenuta da tessuto connettivo ricco di fibre elastiche e collagene. La principale funzione dei cuscinetti emorroidari è quella di contribuire al mantenimento di una adeguata continenza, mediante un meccanismo di regolazione, non ancora ben definito, mediato dalle summenzionate anastomosi vascolari.
La patologia emorroidaria è solitamente il risultato di ripetuti e protratti sforzi defecatori che determinano un progressivo indebolimento del sostegno vasculo-connettivale delle emorroidi, con conseguente prolasso della mucosa sovrastante i cuscinetti emorroidari e congestione vascolare degli stessi. È convenzionalmente adoperata la classificazione in gradi sec. Goligher per definire la gravità della patologia emorroidaria e tale suddivisione rappresenta uno strumento indispensabile per individuare l’opzione terapeutica migliore tra le numerose disponibili.
Infatti è opportuno indirizzare al trattamento conservativo soltanto i pazienti affetti da emorroidi di I e II grado sintomatiche, che si manifestano con un quadro clinico caratterizzato precipuamente da episodi di sanguinamento (ematochezia) frequenti ma non copiosi, tenesmo rettale (I grado) e minimo prolasso mucoso, cioè spontaneamente riducibile (II grado). Nei casi in cui vengano riscontrate emorroidi di III grado (prolasso riducibile solo manualmente) o di IV grado (prolasso non riducibile, emorroidi sempre al di fuori del canale anale), le uniche opzioni terapeutiche risolutive sono quelle chirurgiche.
Trattamento delle emorroidi
Il trattamento conservativo riconosce quali elementi fondanti specifiche norme dietetico–comportamentali (dieta ricca in fibre ed acqua non gasata, non prolungare oltremodo la seduta sul water, regolare attività fisica, ecc.) allo scopo di ridurre gli sforzi defecatori, e la somministrazione di flavonoidi per os, con la finalità di migliorare il tono della parete vasale a livello dei cuscinetti emorroidari. Gli integratori più utilizzati sono concentrati di diosmina, esperidina, troxerutina ed escina, ricavate da vegetali quali vite rossa, centella, rusco, ippocastano, ecc. Talvolta a tale terapia va aggiunto un antinfiammatorio topico, cioè supposta di corticosteroide, nei casi in cui via sia anche flogosi del canale anale.
Qualora un soddisfacente controllo della sintomatologia non fosse ottenuto con gli accorgimenti sopra descritti, possono rivelarsi utili i seguenti trattamenti:
scleroterapia;
legatura elastica;
HeLP.
Queste metodiche sono tutte eseguibili in regime ambulatoriale, senza necessità di anestesia perché interessano la porzione di mucosa subito al di sopra della linea pettinea, dove le fibre nervose della sensibilità dolorifica sono scarsamente rappresentate, e non prevedono l’exeresi chirurgica di tessuto emorroidario.
La scleroterapia consiste nella somministrazione di un agente sclerosante (vedi tabella seguente) alla base del gavocciolo emorroidario congesto, ottenendo di conseguenza una marcata fibrosi dell’intero cuscinetto vascolare.
[table class=”table-striped” caption=”SCLEROTERAPIA DELLE EMORROIDI” width=”700″ colwidth=”350|350″ colalign=”left|left”]
AGENTE,DOSE
Fenolo in olio di mandorla al 5% (PAO),2 ml per ciascun nodulo emorroidario
Polidocanolo al 3%,1 ml per ciascun nodulo emorroidario (0.5 ml per il nodulo a ore 11 per il rischio di danno uretrale e/o prostatico)
Alluminio potassio solfato e acido tannico (ALTA) | di piu’ recente introduzione,10 ml per nodulo emorroidario (la dose complessiva non deve mai superare i 40 ml)
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La legatura elastica (tecnica introdotta da Barron) consiste nell’applicazione, tramite una apposita “pistola” monouso, di uno o più lacci di gomma alla base dei gavoccioli emorroidari, riducendone in tal modo l’apporto vascolare. Dopo circa una settimana si verifica la necrosi del nodulo emorroidario per ischemia e la retrazione cicatriziale della mucosa residua (mucopessi secondaria). Un trattamento adeguato sia sclerosante sia con legature elastiche consiste di solito in un ciclo di almeno due sedute ambulatoriali, eseguite a distanza di circa dieci giorni l’una dall’altra.
Questi trattamenti sono gravati dalle seguenti complicanze: dolore, tenesmo e, molto più raramente, ritenzione urinaria acuta ed emorragia.
Le crescenti applicazioni della laser–chirurgia in campo proctologico hanno contribuito ad ampliare il ventaglio di procedure ambulatoriali disponibili. In effetti la HeLP (Hemorroidal Laser Procedure) rappresenta un trattamento innovativo, che si prefigge di dare un minimo discomfort al paziente con conseguente rapida dimissione post–procedura. La metodica prevede l’utilizzo di una fibra laser a diodi 980 nm (nanometri), introdotta in un anoscopio dedicato, per ottenere l’obliterazione delle ramificazioni più periferiche dell’arteria emorroidaria inferiore individuate con apposita sonda doppler endoanale. Tale tecnica si basa sulla teoria eziopatogenetica che riconosce quale causa principale della malattia emorroidaria l’ipervascolarizzazione dei cuscinetti emorroidari ed essa, quindi, mira a ridurre l’afflusso sanguigno a tali strutture anatomiche.
La crioterapia e la fotocoagulazione ad infrarossi sono ulteriori due procedure utilizzate in passato e ad oggi praticamente obsolete a causa della bassa compliance al trattamento dimostrata dai pazienti e degli scarsi risultati osservati dopo adeguato follow-up.
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