Il fumo e l’obesità aumentano il rischio di mal di schiena
Andare a lavoro a piedi o bicicletta può aiutare a prevenire il mal di schiena della zona lombare. Il fumo e l’obesità, invece, sono devastanti. A dimostrare l’importanza degli stili di vita nei confronti di uno dei dolori più diffusi nella popolazione è uno studio pubblicato sulla rivista Arthritis Care & Research.
I ricercatori dell’Istituto finlandese per la salute sul lavoro hanno utilizzato i dati l’Indagine sulla salute 2000 relativa a 7.977 adulti di età pari o superiore a 30 anni e che ne raccolto informazioni su salute, lavoro e stile di vita tramite questionari, interviste domiciliari ed esami clinici.
Dopo 11 anni hanno confrontato il follow up di 3.505 dei partecipanti iniziali tramite i risultati dell’Indagine sulla salute 2011, ponendo nello specifico domande riguardanti il dolore lombare. Ne è emerso che episodi di lombalgia per più di 30 giorni negli ultimi 12 mesi erano più importanti nelle donne che negli uomini. L’obesità addominale, il fumo di sigaretta e il lavoro fisico faticoso aumentavano il rischio di soffrirne, mentre camminare o andare a lavoro in bicicletta erano associate a una minore probabilità di essere colpiti.
Disania: la malattia di chi non riesce a tirarsi giù dal letto
A chi non piace restare sotto le coperte al mattino?
Diciamocelo, è normale che sia così e sarebbe strano il contrario. In alcuni casi, però, si esagera e la voglia di restare a letto può diventare un vero e proprio problema, situazioni in cui non si riesce proprio del tutto ad alzarsi. Una vera e propria malattia, chiamata disania o clinomania.
Che cos’è la disania?
«Disania è un termine usato raramente per esprimere il fatto che non si riesce a tirarsi giù dal letto al mattino», evidenzia in un articolo di Bbc Three il dottor Mark Salter, del Royal College of Psychiatrists. «È un comportamento a volte osservato in coloro che soffrono di un disturbo depressivo». La disania, che non è riconosciuta dal punto di vista medico, non si basa solo sul sentirsi più sonnolenti del solito: è un’incapacità cronica di lasciare il letto. Coloro che dicono di soffrirne possono rimanere a letto per giorni e giorni e spesso provano ansia al pensiero di alzarsi.
Possono anche sentire il desiderio impellente di tornare sotto le coperte una volta che le hanno lasciate. Secondo l’esperto è importante sapere che è improbabile che venga diagnosticata la sola disania. Di solito è considerato un sintomo di una condizione di base come la depressione o la sindrome da stanchezza cronica.
Una buona strategia per chi prova la sensazione di non volersi alzare è cambiare le proprie abitudini. Per prima cosa, cercare di regolare la quantità di sonno. Il relax è fondamentale: si può provare prima di andare a letto con un bagno o un po’ di esercizio leggero come lo yoga. No alle distrazioni come telefoni e computer, si invece all’attività sessuale.
E voi, che ne pensate?
Una nuova terapia tutta italiana per far ricrescere i capelli
In gergo si chiama “alopecia androgenetica”, è la più comune delle calvizie e fa disperare sia uomini che donne, giovani o più avanti con gli anni. La notizia è che ora la si può combattere senza i famosi “trapianti” di follicolo.
I ricercatori dell’Istituto dermopatico dell’Immacolata (Idi) Irccs di Roma hanno messo a punto una terapia biologica e cellulare basata sull’infiltrazione di derivati del sangue. Lo studio è stato pubblicato dalla rivista americana Dermatologic surgery, che spiega l’efficacia della terapia e mette in evidenza l’importanza delle piastrine e di alcune proteine presenti nel sangue concentrate tramite un emoconcentratore progettato e prodotto da una azienda italiana. L’emoderivato, iL-PRF, è un plasma ricco di piastrine, globuli bianchi e fibrina. Lo studio è il più importante per numero di pazienti, mai realizzato.
In parole povere, il meccanismo prevede un prelievo di sangue al paziente che viene trattato con l’uso dell’emoconcentratore e da cui si scinde il plasma ricco di piastrine, globuli bianchi e fibrina. Questo concentrato viene quindi iniettato nella zona della testa dove c’è stata la caduta di capelli.
La terapia può essere usata più volte, non ha effetti collaterali se non in alcuni casi sensazione di gonfiore o bruciore tra le 48 e le 72 ore successive e si risolve spontaneamente. La tecnica fa parte della medicina rigenerativa che già da anni viene usata per contrastare alcune malattie come per esempio l’artrosi al ginocchio.
E voi, vi prendete cura della salute dei vostri capelli?
La psicolibina: l’ultima frontiera del doping mentale
L’ultima frontiera del doping mentale? Sostanze per potenziare le proprie capacità.
Non preoccupatevi, nulla di pericoloso, ma fa discutere comunque l’idea di utilizzare sostanze “psichedeliche”, anche se in dosi minime e quindi non pericolose.
A suggerirlo è uno studio di Lorenza Colzato, della Leiden University in Olanda, che per la prima volta dimostra come micro-dosi (innocue e senza effetti allucinogeni) di “psicolibina”, che si estrae da particolari tartufi – potenziano la creatività. «Questa e altre sostanze – sostiene Colzato – sono già in uso in America tra i guru dell’informatica nella Silicon valley e i broker di Wall Street proprio per le loro funzioni sulle capacità mentali, ma ad oggi mancava una qualsiasi validazione scientifica». Colzato ha usato micro dosi della sostanza (appena 0,33 grammi) per evitare effetti allucinogeni.
Coinvolgendo 38 persone ha visto che nel giro di 90 minuti dall’assunzione di psilocibina, i partecipanti presentavano un potenziamento delle capacità di pensare fuori dagli schemi e in maniera originale (il cosiddetto pensiero divergente, ad esempio pensare a una comune bottiglia non come a uno strumento per bere, ma come a uno strumento musicale). «Il microdosing – spiega – sembra avere un effetto specifico sulla creatività che svanisce nel giro di alcune ore».
Secondo la scienziata «la sostanza potenzia la creatività aumentando il livello di serotonina, neurotrasmettitore importante sia per il tono dell’umore, sia per la flessibilità cognitiva, cioè per una maggiore adattabilità ai cambiamenti, capacità che è alla base dell’essere creativi».
Rischio di Alzheimer? Ora è possibile “leggerlo” negli occhi
Incredibile ma vero, l’Alzheimer si “può leggere” negli occhi: infatti, tre malattie della vista tutte a decorso degenerativo – glaucoma, maculopatia e retinopatia diabetica – sono risultate legate al rischio di ammalarsi di Alzheimer.
Lo scoperta arriva grazie ad uno studio condotto presso la University of Washington School of Medicine e reso noto sulla rivista Alzheimer’s & Dementia. Gli esperti hanno monitorato per parecchi anni la salute di 3.877 over-65 scelti a caso nella popolazione. Nel corso del periodo di studio hanno diagnosticato quasi 800 casi di Alzheimer.
Gli anziani con maculopatia, o retinopatia o glaucoma presentavano un rischio di ammalarsi di Alzheimer del 40%-50% maggiore rispetto a coetanei con pari fattori di rischio ma senza problematiche oftalmiche. Altre malattie della vista tipiche dell’età anziana come la cataratta non sono risultate legate al rischio di Alzheimer, segno che c’è proprio un meccanismo comune tra demenza e degenerazione di retina o nervo ottico.
Se la gravidanza è complicata il bebè è a rischio autismo
Senza alcuna prova a supporto, il presunto legame tra vaccini e autismo ha innescato negli anni feroci polemiche.
Facile capire perché la ricerca pubblicata sulla rivista Jama Psychiatry stia ora facendo parlare il mondo intero. Cosa dice? Il rischio per un bebè di ammalarsi di autismo è legato anche a una complicanza della gestazione, la preclampsia o pressione alta in gravidanza.
Lo studio I di Ali Khashan, della University College Cork in Irlanda, è una meta-analisi di decine di studi già pubblicati su pressione alta in gravidanza e disturbi dello sviluppo nel nascituro (da autismo ad iperattività e deficit di attenzione). La revisione di una vasta mole di dati ha portato i ricercatori a concludere che soffrire di pressione alta durante la gestazione si associa a un aumento di rischio di autismo per il bebè del 35%.
C’è poi un altro studio, condotto da Anny Xiang del Kaiser Permanente hospitals in California, che ha analizzato 419.425 bambini nati tra 1995 e 2012. Di questi, 621 bambini sono nati da donne con diabete insulino-dipendente o di tipo 1. I ricercatori stimano che i figli di donne con diabete di tipo 1 hanno più del doppio del rischio di ammalarsi di autismo rispetto agli altri bimbi. Invece il diabete di tipo 2 nella mamma aumenta il rischio autismo del bebè del 45%, il diabete gestazionale prima della 27sima settimana di gravidanza lo aumenta del 30%.
Temi molto delicati, che spesso creano dibattiti accesi (anche se non sempre basati su solide fondamenta scientifiche).
Anziani: scarsa igiene orale aumenta il rischio di polmonite
Lavarsi i denti è importante, ancor più per gli anziani
Una scarsa cura dei denti aumenta negli anziani il rischio di polmonite e malattie respiratorie. Questa la conclusione a cui sono arrivati i ricercatori dell’Università di Kyushu, che hanno studiato il ruolo del microbiota della lingua, cioè di tutto quell’insieme di microrganismi che vivono “ospiti” del corpo stesso. Secondo quanto emerso, infatti, le persone anziane con meno denti, con una scarsa igiene dentale e un maggior numero di carie, ingeriscono costantemente un maggior numero di microbi disbiotici che possono essere dannosi per la salute dell’apparato respiratorio.
Prima di questo studio, i ricercatori sapevano che un’aspirazione costante della saliva può portare a polmonite, una delle principali cause di morte tra gli anziani. Gli studiosi, in questo caso, hanno analizzato lo stato dei microrganismi in 506 persone tra 70 e 80 anni e hanno scoperto che la sua composizione era legata alle condizioni dei denti.
Un gruppo di batteri che amano coabitare (composto da Prevotella histicola, Veillonella atypica, Streptococcus salivarius e Streptococcus parasanguinis) è stato associato a un aumentato rischio di mortalità dipeso dalla polmonite. Questo gruppo batterico era più predominante negli anziani con meno denti, una maggiore placca e una maggiore quantità di carie. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista scientifica mSphere.
Sette modi per evitare il declino cognitivo!
In Italia circa un milione di persone sono affette da demenza e la cosa drammatica è che i casi aumentano di anno in anno.
Anche se non c’è ancora una cura, in circa 1 caso su 3, il declino cognitivo è evitabile. Sette i modi per scongiurarlo, secondo le ultime evidenze scientifiche, riassunte dal Guardian.
1) Tieni sotto controllo il peso
Il diabete e l’obesità nella mezza età possono raddoppiare le probabilità di demenza in vecchiaia. Monitorare il peso, infatti, ha un impatto sulla salute cardiovascolare e questo può ridurre notevolmente il rischio per il cervello.
2) Rinuncia al fumo
Uno studio ha dimostrato che le persone di mezza età che fumavano più di due pacchetti al giorno avevano un rischio di demenza più che doppio in età avanzata.
3) Resta attivo
Svolgere attività fisica regolare, ad esempio camminare a passo sostenuto, può preservare le facoltà in età avanzata. Diversi studi hanno dimostrato che le persone anziane che avevano iniziato un regolare programma di esercizi, avevano una migliore funzione cognitiva.
4) Allena la mente
Le persone con più anni di istruzione scolastica e universitaria hanno, anche da anziani, una mente più elastica, ma anche intraprendere nuovi hobby e partecipare ad attività intellettuali quotidiane, come fare cruciverba, ha effetti neuroprotettivi.
5) Non isolarti
Frequentare associazioni o fare volontariato, ha dimostrato avere un effetto protettivo sulle funzioni del cervello.
6) Adotta la dieta mediterranea
Il maggior consumo frutta, pesce e verdura può ridurre il rischio, probabilmente perché aiuta a prevenire l’ipertensione.
7) Dormi un numero di ore giuste per la tua età
Non è ancora ben chiaro il motivo, ma l’insonnia cronica è stata collegata ad un aumento del declino cognitivo in età avanzata.
Piccole regole di vita che possono fare la differenza.
Cinque consigli salva-schiena, anche con le palline da tennis
Schiena dolorante?
Se non si ha tempo, voglia o desiderio di investire soldi in un massaggio professionale si possono seguire, per tentare di alleviare il disturbo e cercare il più possibile di prevenirlo, cinque spunti che arrivano da un esperto della University of Southern California, Kimiko Yamada, assistente professore di fisioterapia clinica.
Ecco in dettaglio alcuni consigli per provare ad alleviare il dolore senza ricorrere a massaggi professionali:
1) Lasciare che una pallina da tennis ci aiuti nel massaggio. Il meccanismo consigliato è mettere una pallina da tennis in un lungo calzino, posizionarla sulla spalla o sulla schiena, dove si sente il bisogno di effettuare una pressione e poi appoggiarsi al muro o su una sedia per 8-10 secondi. Si può scegliere di metterne anche una su ogni lato della colonna vertebrale.
2) Utilizzare un rullo di schiuma per il fitness. Ci si sdraia a terra posizionandosi come se si stesse effettuando la posizione dell’angelo della neve, cioè con braccia e gambe allargate, ma con il rullo di schiuma lungo la schiena. Se non si riesce a sdraiarsi ci si può mettere contro un muro, con il rullo di schiuma perpendicolare alla colonna vertebrale, facendolo rotolare su e giù.
3) Stretching al mattino. Secondo l’esperto è una buona idea iniziare la giornata con movimenti che aiutano ad aprire il torace e spingere indietro le scapole perché tutto quello che facciamo durante il giorno è davanti a noi. Si dovrebbe anche terminare la giornata in questo modo, sdraiandosi con il rullo di schiuma lungo la schiena e lasciando che la forza di gravità spinga indietro le scapole.
4) Attenzione ai pollici. Chi massaggia gli altri vuole preservare i pollici, perché generalmente sono la prima parte delle articolazioni nelle mani che diventa artritica e dolorosa. In alternativa, si può utilizzare anche in questo caso una pallina da tennis.
5) Quando si fa “un automassaggio” si può esercitare una pressione leggermente più forte o insistere su un determinato punto.
Acne: passo in avanti sulla sperimentazione di un vaccino
Milioni di adolescenti potrebbero presto veder cambiare (in meglio) la propria vita grazie ad un nuovo passo in avanti nella realizzazione di un vaccino contro l’acne.
Un team di ricercatori internazionali, infatti, ha dimostrato per la prima volta che gli anticorpi contro una tossina secreta dai batteri nell’acne possono ridurre l’infiammazione nelle lesioni fatte dalla stessa malattia. Lo studio, pubblicato sul Journal of Investigative Dermatology, è stato per ora condotto sui topi ed ex vivo in cellule della pelle umana. E’ emerso come l’applicazione di alcuni anticorpi monoclonali su un fattore chiamato Camp (una tossina secreta dai batteri Propionibacterium acnes, responsabili della patologia) riesce a ridurre le risposte dell’infiammazione.
Anche se l’acne non è una malattia pericolosa per la vita, sono alti gli effetti psicologici che porta. È difficile da nascondere e spesso, spiegano gli studiosi, compromette l’autostima degli individui che ne sono colpiti, soprattutto durante l’adolescenza, un periodo di importante sviluppo fisico, emotivo e sociale. Gli attuali farmaci sono spesso insufficienti e possono causare effetti collaterali difficili da tollerare che vanno dalla secchezza della pelle e all’irritazione, fino addirittura alla depressione. Una vaccinazione contro l’acne, dicono gli studiosi, potrebbe aggirare i potenziali effetti avversi delle opzioni di trattamento attualmente disponibili. Non resta che aspettare e sperare.
E voi, quali sono i vostri segreti contro l’acne?