Allergie alimentari gravi: come mangiare fuori senza rischi!
Chi soffre di allergie alimentari gravi, per poter mangiare al ristorante senza rischi deve mettere in atto, in media, 15 diverse strategie: dal parlarne subito con il cameriere ad ordinare separatamente rispetto agli altri. Strano ma vero, e a censirle è una ricerca presentata al meeting annuale della American College of Allergy, Asthma and Immunology (ACAAI).
I ricercatori della Cleveland Clinic hanno intervistato i membri di un gruppo sulle allergie alimentari, riguardo le strategie usate al ristorante. «Le persone che usano in media 15 strategie tendono ad evitare di avere reazioni allergiche gravi – spiega Justine Ade, uno degli autori. Quelli che invece le hanno avute in media ne usavano solo sei, che hanno aumentato a 15 dopo aver avuto la reazione allergica grave».
Dal sondaggio dei ricercatori la strategia più usata è risultata essere “parlare con il cameriere appena arrivati”, cosa che fa l’80% degli intervistati; seguita da “ordinare cibi con ingredienti semplici, fare un doppio check del cibo prima di mangiare, evitare ristoranti ad alto rischio di contaminazione e visionare gli ingredienti sul sito web del ristorante“.
Tra i meno usati invece c’è “evitare le ore di maggior affluenza del locale” e “ordinare separatamente i cibi che possono causare allergia“. Fra le altre strategie segnalate ci sono “parlare con lo chef“, “pulire sedie e tavolo” e anche “portare da casa delle integrazioni al pasto“.
Certo, messa così, una cena fuori ha più che altro il sapore di un incubo.
La proteina Pmca: il “navigatore” degli spermatozoi
Desiderate una gravidanza che non arriva?
Ancora una volta l’alimentazione si è dimostrata più importante di quanto si potesse credere. La questione è un po’ complessa e non si può risolvere con un cambio di dieta, tuttavia la scoperta apre le porte a possibili nuovi farmaci che in futuro potrebbero essere risolutivi in molti casi.
Andiamo con ordine. A guidare e aiutare gli spermatozoi a “trovare la strada” per raggiungere l’ovocita da fecondare è una proteina che si trova nella loro membrana cellulare. A svelare il mistero sono stati i ricercatori dell’università di Tokyo, guidati da Manabu Yoshida, studiando le ascidie, animali marini con il corpo a forma di sacco, che si muovono in modo simile alle larve.
Le cellule degli spermatozoi, i batteri e altri microrganismi indirizzano i loro movimenti a seconda della presenza di alcune sostanze chimiche presenti nel loro ambiente. Gli ovociti rilasciano una sostanza chimica che attrae gli spermatozoi.
«Abbiamo visto che la proteina Pmca per il trasporto di calcio ha un ruolo chiave nel movimento degli spermatozoi – spiega Yoshida – Si trova in gran quantità sulla coda delle membrane degli spermatozoi di questi animali, e si lega a delle sostanze specifiche attraenti, che modificano il modo in cui si muovono, dirigendo il movimento dello spermatozoo».
Ora che si sa «che questa proteina ha un ruolo importante nelle funzioni cellulari – conclude – può essere usata come un bersaglio per lo sviluppo di nuovi farmaci».
Colesterolo: aumenta del 20% dopo le festività natalizie
Finite le feste restano i sensi di colpa e, soprattutto, i chili in eccesso. Già, le grandi abbuffate tipiche delle festività natalizie e del Capodanno, il più delle volte hanno il grande svantaggio di far aumentare il girovita. Ciò a cui si pensa meno, a torto, è che ad aumentare è anche il colesterolo. Subito dopo la pausa natalizia, infatti, i suoi livelli sono superiori del 20% rispetto all’estate.
E il rischio di avere il colesterolo alto è sei volte maggiore dopo la pausa natalizia. Secondo l’analisi condotta dall’Università di Copenaghen, pubblicata sulla rivista scientifica Atherosclerosis, che ha coinvolto circa 25mila danesi, dopo le feste il colesterolo si innalza di un quinto per nove persone su dieci.
«Il nostro studio mostra che i livelli di colesterolo sono influenzati dal cibo grasso che consumiamo quando festeggiamo il Natale. Il fatto che così tante persone abbiano valori alti di colesterolo subito dopo le vacanze di Natale è molto sorprendente», dice Anne Langsted, una delle ricercatrici che ha condotto lo studio.
Secondo gli analisti, davanti a valori del genere dopo le feste si dovrebbe prendere in considerazione un’altra valutazione successiva, da fare con il trascorrere nell’arco dell’anno.
E voi, ne siete usciti “indenni”?
Medicina rigenerativa: scoperto in Calabria il “Nanobioma”
Si chiama “nanobioma” e potrebbe rappresentare un passo avanti nella medicina rigenerativa, attraverso un uso più mirato delle cellule staminali.
Uno studio realizzato dal team di Tecnologica Research Institute, centro di ricerca del Gruppo Marrelli e pubblicato sulla rivista medico scientifica Journal of Clinical Medicine sviluppa il concetto Di Nanobiome (acronimodi Nanometric Bio-banked Msc-derived Exosome), un termine coniato dallo stesso centro di ricerche calabrese.
«Le cellule staminali, unitamente ai nuovi biomateriali – spiega Marco Tatullo – oggigiorno possono riparare una frattura ossea più velocemente, oppure possono risanare alcuni organi come il fegato, e più recentemente, sono state impiegate per rallentare i processi neurodegenerativi cronici come il Parkinson.
Tuttavia, solo una parte della cellula ha le capacità di agire in tal senso: con il nanobioma si prova a prendere il buono delle cellule staminali, per usarlo nelle future terapie su paziente».
L’obiettivo che deve perseguire una buona sanità è quello di creare le migliori condizioni per ottenere terapie di eccellenza con il minor costo biologico per il paziente: oggi si lavora per il futuro, per i pazienti di domani e le premesse non sono niente male.
Alimentazione: ciò che mangiamo può incidere sul nostro DNA
Quello che mangiamo può modificare l’espressione del nostro DNA, può incidere sul nostro corpo ad un livello tanto profondo da cambiarci la vita.
Un tema sul quale stanno lavorando i ricercatori del gruppo Re.Me.Diet, impegnati nello studio dell’impatto epigenetico della dieta mediterranea sulle terapie delle malattie renali.
Si mira quindi a dimostrare come il cibo sia in grado di modificare l’espressione del DNA e capire quanto gli alimenti possono essere non solo prevenzione ma addirittura una cura. “Tanta roba”, se si pensa che nel nostro paese il 19,9% degli italiani soffre di obesità o è in sovrappeso, un problema che riguarda anche i più piccoli visto che un bambino su tre già a 11 anni è in sovrappeso.
A ribadire il concetto è Francesco Trevisani, nefrologo e ricercatore del San Raffaele di Milano e membro del gruppo di ricerca Re.Me.Diet. «Un’alimentazione equilibrata – ricorda – basata sul modello mediterraneo, è in grado di assicurare un buono stato di salute e diminuisce l’insorgere di diverse patologie».
Depressione in tarda età: un aiuto dal cerotto alla nicotina
Se la depressione arriva in tarda età, dopo i 60 anni, allora è molto probabile che sia resistente alle cure farmacologiche e legata anche a problemi di memoria.
Il cerotto alla nicotina potrebbe contrastare la depressione
Ora però il cerotto con la nicotina potrebbe cambiare le cose. Già, proprio come per il fumo, la nicotina potrebbe essere d’aiuto. Il cerotto in questione ha mostrato risultati promettenti. Lo rileva una ricerca pilota del Vanderbilt University Medical Center pubblicata sul Journal of Clinical Psychiatry.
Lo studio, di 12 settimane, è stato condotto tra novembre 2015 e agosto 2017 e ha esaminato 15 persone, di 60 anni e più, affette da un disturbo depressivo. «Lo studio è stato progettato per vedere se c’è un segnale per incoraggiarci ad andare avanti in una ricerca più ampia e più definitiva», spiega Warren Taylor, autore principale.
«Non vogliamo esporre le persone a qualcosa che non ha alcun beneficio, a meno che non abbiamo dati preliminari per suggerire che questo approccio potrebbe essere efficace». Fortunatamente i risultati incoraggianti non si sono fatti attendere, lo studio ha misurato la remissione dal disturbo raggiunta dal 50% dei partecipanti mentre complessivamente oltre l’80% ha avuto una buona risposta clinica.
Nei primi 2,5 anni di vita il futuro dei batteri intestinali
Nei primi due anni e mezzo di vita di un bimbo si determina la composizione dei suoi batteri intestinali, mentre i cambiamenti che avverranno dopo questo punto in poi sono piuttosto limitati. Uno dei più grandi studi clinici sui microbiomi nei bambini mai realizzato, pubblicato sulla rivista Nature, ci apre gli occhi sull’importanza della nutrizione nei primi giorni di vita.
Fondamentale al punto da esser definito il secondo cervello, il microbioma intestinale l’insieme dei miliardi di batteri che popolano l’intestino e che svolge un ruolo in tantissime funzioni dell’organismo, non solo quella digestiva. Per analizzarlo a fondo, i ricercatori dell’Università di Newcastle, nel Regno Unito, hanno utilizzato il sequenziamento genetico per analizzare 12.500 campioni di feci raccolti mensilmente da 903 bambini di età compresa tra 3 e 46 mesi. La composizione e la diversità del microbioma sono cambiate nel tempo in tre fasi distinte: il primo sviluppo (3-14 mesi), la transizione (15-30 mesi) e la stabilizzazione (dai 31 mesi in poi).
I maggiori cambiamenti sono stati identificati nelle prime due fasi, mentre dai due anni e mezzo in poi, la variazioni nel micro bioma risultavano molto piccole. La presenza del Bifidobacterium, notoriamente benefico, era abbondante nei bimbi allattati con latte materno e si è ridotto rapidamente dopo l’interruzione dell’allattamento.
Una volta svezzati, i bambini presentavano un cambio nella comunità batterica molto più rapido dell’atteso: il Bifidobacterium viene sostituito da batteri Firmicutes. «È probabile – spiegano i ricercatori – che questo rapido ricambio sia in risposta alle nuove fonti alimentari. Sorprendentemente, da questo punto in poi, il microbioma progredisce rapidamente verso la stabilità, con una composizione che potrebbe rimanere tale per il resto della vita di quell’individuo».
Intervista al Dott. Lanfranco Scaramuzzino Arteriopatie
Intervista al Dott. Lanfranco Scaramuzzino, Chirurgo Vascolare di Napoli sulle arteriopatie. L’intervento si è svolto nell’ambito dell’inserto “Pillole di Salute” del canale Mattina 9 il giorno 12/12/2018.
L’esame del sangue può dirci se rischiamo l’infarto
Un semplice esame del sangue può dirci se rischiamo di avere un infarto. A metterlo a punto l’equipe guidata da Peter Meikle, capo del laboratorio di metabolomica del Baker Heart and Diabetes Institute di Melbourne che conta di condurre sperimentazioni cliniche entro due o tre anni.
I livelli dei lipidi, spiegano i ricercatori, sono differenti nelle persone che hanno subito un attacco cardiaco e offrono al medico una migliore idea delle probabilità di averne un altro. Il team ha quindi identificato i biomarker dei lipidi del plasma e ha sviluppato il test dopo aver esaminato 10 mila campioni, individuando quelli che determinano se una persona è a rischio di avere un secondo infarto.
Lo studio, pubblicato sulla rivista JCI Insight, mostra una diagnosi del 19% migliore rispetto ai test correnti nell’individuare tale rischio. Il prossimo passo sarà di sviluppare un test che predica attacchi di cuore nelle persone sane. I test di biomarker sono un’importante nuova area della medicina e promettono di cambiare radicalmente il nostro modo di ottenere una diagnosi.
Adolescenti superconnessi, ma scollegati dal mondo reale
«I superconnessi», è così che Domenico Barrilà definisce i giovani di oggi nel suo nuovo libro che analizza la solitudine degli adolescenti che si perdono nel mondo virtuale.
Per essere precisi il titolo del libro è «I superconnessi, come la tecnologia influenza le menti dei nostri ragazzi e il nostro rapporto con loro» (Ed URRA Feltrinelli). La sorpresa è che la riflessione di Barillà riguarda molto i genitori, che pur lamentando l’uso eccessivo di smartphone e web dei propri figli, mostrano di non avere controllo sul loro rapporto con i dispositivi digitali.
«I ragazzi imparano dai nostri comportamenti – spiega – non dalle parole, è impossibile portarli dove noi stessi non sappiamo arrivare. Dunque un genitore che utilizzi in modo immaturo gli strumenti digitali perde autorevolezza e lede le sue chance di correggere i figli. I giovani nell’ansia di voler essere costantemente connessi, trasferiscono il bisogno di “legami”.
Quindi più che mettere sotto accusa le nuove tecnologie, dovremmo preoccuparci di munire i figli di solidi sentimenti comunitari». La Rete è un caso particolare di vita sociale, che rivela perfettamente, magari esasperandoli, gli orientamenti profondi dei ragazzi. Dice chi siamo veramente. Sui social i ragazzi veicolano l’immagine che si sono fatti di sé, drammatizzano, come in una recita, ciò che credono di essere.
E voi, qual è il vostro rapporto con queste tecnologie?