Piedi, geloni e cure naturali
Geloni: per proteggersi pomata d’ippocastano e pediluvio con decotto di foglie di noce
Per tentare di prevenire i geloni, nelle stagioni a rischio si può assumere Aesculus Hyppocastanum (gemmo-terapico, 30 gocce 3 volte al giorno) e integrare l’alimentazione con vitamine A, C, D, E.
Particolarmente indicata anche la vitamina PP, perché esplica una buona azione vasodilatatrice. «Quando il problema è già insorto, si massaggiano le parti colpite, più volte al giorno, con una pomata di Agaricus muscarius o di Calendula se il gelone è recente.
Utili i pediluvi con decotti di foglie di noce in due litri di acqua calda, consiglia Wilmer Zanghirati, dell’Istituto Superiore di Medicina Olistica ed Ecologia dell’ateneo di Urbino. Per la cura Nitricum acidum è indicato nel congelamento lieve, con dolore. Pulsatilla con prurito e dolore alle estremità inferiori.
Riflessologia plantare
Il massaggio plantare è nato millenni fa. Abbiamo alcuni disegni murali in una tomba Egizia del 2330 a.C. Alcune testimonianze scritte ci trasmettono l’uso di questa pratica nell’estremo Oriente e in Cina, ma possiamo dire che la pratica è nata nel bacino del Mediterraneo.
Che cos’è la riflessologia plantare?
È un massaggio zonale ai piedi che ha la funzione di riequilibrare da un punto di vista energetico il nostro organismo, prevenire e curare molte malattie. È una terapia olistica e in quanto tale, considera l’individuo nel suo insieme corpo-mente-spirito.
Attraverso questo massaggio sciogliamo e rimuoviamo blocchi energetici che ostacolano il libero fluire dell’energia nel nostro corpo. Massaggiando il piede secondo il sistema riflessologico, stimoliamo le terminazioni nervose collegate ai vari organi e quindi massaggiamo l’organo o quel punto del corpo in via riflessa. Si ristabilisce inoltre, quella fluidità circolatoria ed energetica alterata, migliorando il ritorno venoso.
Possiamo quindi, non solo ristabilire armonia e funzionalità ai nostri organi, ma anche prevenire lo sviluppo di problemi venosi e migliorare la funzionalità del sistema venoso.
La terapia anticoagulante
Nel caso di una trombosi venosa profonda o di una tromboflebite superficiale, la terapia anticoagulante deve essere attentamente controllata con esami della coagulazione; il controllo deve essere effettuato necessariamente dallo specialista o dal medico di famiglia, ma può essere utile sapere che: in caso di terapia eparinica la coagulazione viene controllata eseguendo un test sul sangue, che si chiama Ptt; è necessario inoltre, eseguire periodicamente un controllo delle piastrine.
In caso di terapia con anticoagulanti orali, il controllo viene eseguito con un esame del sangue che si chiama Pt, ma attualmente si preferisce utilizzare un indice standard che si chiama INR. L’INR normalmente è inferiore a 1, ma in caso di terapia con anticoagulanti si deve portare tra 2 e 3. Valori al di sopra del 4 (o al di sotto del 20% di Pt) possono essere responsabili di emorragia.
Durante la terapia anticoagulante, che può protrarsi anche per mesi o anni, è necessario rispettare una dieta costante, per evitare improvvise modificazioni del tempo di coagulazione.
Anche l’assunzione di eventuali nuovi farmaci deve essere sempre sottoposta al controllo dello specialista.
Gambe in gamba? Attenzioni e cure per delle gambe da urlo!
Citate nella Bibbia e descritte dai medici dell’antica Roma, le vene varicose e i capillari degli arti inferiori sono un disturbo comunissimo anche ai nostri giorni.
Le vene varicose: non sono solo un inestetismo delle gambe
Intorno ai cinquant’anni di età, una persona su due patisce di vene varicose e nelle donne la comparsa di varici e capillari è spesso più precoce che negli uomini. Le vene varicose purtroppo, oltre a compromettere la bellezza delle gambe, rappresentano anche un pericolo da non trascurare, a causa delle possibili complicanze, che vanno dalla flebite alla trombosi o, addirittura, all’embolia polmonare.
La minigonna: una liberazione per le gambe, o forse no!
Quando nel lontano 1964, la stilista Mary Quant lanciò la moda della minigonna, furono tante le giovani donne dai polpacci affusolati e dalle cosce snelle che esultarono alla novità, ma probabilmente furono ancora di più le donne costrette a rimpiangere gli orli delle gonne a filo caviglia: alcune perché poco favorite dalla natura, altre perché afflitte da quegli antiestetici ghirigori tortuosi e bluastri sulle gambe causati proprio dalle vene varicose e dai capillari.
Vene varicose: un problema “idraulico”
Un problema, come dicevo, a prevalenza femminile che purtroppo non si limita a compromettere l’aspetto estetico delle gambe, ma può provocare anche serie complicanze. Il disturbo deriva da una difficoltà per così dire “idraulica”: il sangue contenuto nelle vene profonde delle gambe deve ritornare al cuore salendo verso l’alto, in contrasto con la forza di gravità.
Normalmente questo avviene grazie a due accorgimenti predisposti dalla natura stessa. Il primo accorgimento consiste nell’azione di pompaggio attuata dalla contrazione dei muscoli delle gambe e in particolare da quelli del polpaccio; mentre il secondo accorgimento è rappresentato da una serie di valvole, poste all’interno delle vene, che si richiudono man mano che il sangue risale, impedendone il reflusso verso il basso.
Se queste valvole si indeboliscono, il sangue tende a ristagnare nella parte inferiore del corpo e le vene si dilatano. Le vene superficiali proprio a causa della dilatazione, diventano visibili sotto pelle assumendo la forma di cordoni bluastri con un andamento tortuoso, mentre la parte liquida del sangue trasuda nei tessuti provocando un edema, causando uno spiacevole gonfiore delle gambe e dei piedi. La continua pressione esercitata dal sangue, sfianca le pareti stesse delle vene, determinando una condizione d’Insufficienza Venosa Cronica.
Un disturbo circolatorio: Insufficienza Venosa Cronica
Nelle fasi iniziali del processo IVC (Insufficienza Venosa Cronica) si avvertono sintomi fastidiosi come un senso di pesantezza alle gambe (soprattutto se si sta molto in piedi), uno sgradevole gonfiore alle caviglie, prurito, crampi e formicolii e ancora, rilassamento dei muscoli, pelle secca e lucida.
Se non si interviene subito, cercando l’aiuto di uno specialista in flebologia, la situazione si può aggravare e i tessuti possono essere seriamente danneggiati dal disturbo circolatorio: in tal caso si evidenzia intorno alle caviglie un eczema di colore rosso – brunastro, il prurito diventa intenso e si formano delle ulcere della cute che stentano a guarire e che si possono facilmente infettare. Ma la situazione può ancora peggiorare: a volte, infatti, nella vena varicosa si verifica un’infiammazione che prende il nome di flebite. Le flebiti delle vene superficiali provocano gonfiore, arrossamento e calore nella zona circostante, accompagnate da un dolore che può anche essere molto intenso.
Se l’infiammazione invece, attacca una vena profonda allora possono essere guai molto seri, perché in questo caso potrebbero formarsi coaguli di sangue (i cosiddetti trombi) che tendono a occludere il vaso sanguigno: è lo stadio della tromboflebite. Talvolta qualche frammento di un trombo si stacca ed entra nella circolazione generale. Se sfortunatamente il frammento penetra nel circolo polmonare (o piccola circolazione) si potrebbe verificare quella che è la più grave complicanza delle varici, l’embolia polmonare che potrebbe avere conseguenze perfino mortali.
I fattori che predispongono alle varici sono molti:
- l’obesità;
- la gravidanza;
- la menopausa;
- lavori che costringono a stare tutto il giorno in piedi o a sollevare pesi;
- la stitichezza cronica;
- le abitudini di vita sedentarie;
- l’immobilità a letto per lunghi periodi;
- la prolungata posizione seduta con le gambe accavallate;
- le calzature inadatte (strette, con tacco troppo basso o alto);
- gli indumenti troppo stretti;
- il surriscaldamento delle gambe dovuto a prolungate esposizioni solari;
- le cerette a caldo che possono mettere a rischio il buon funzionamento delle vene.
In aggiunta a quanto già detto, anche l’ereditarietà ha un peso significativo.
- camminare per almeno 30 minuti al dì, per mantenere in funzione la “pompa” muscolare del polpaccio;
- sollevare le gambe per qualche minuto diverse volte al giorno;
- dormire con le gambe 10-15 cm più alte del cuore;
- evitare di stare a lungo fermi nella stessa posizione;
- praticare delle docce fredde di 15 secondi per gamba, un paio di volte al giorno, ma particolarmente d’estate, iniziando dai piedi e risalendo verso il polpaccio e la coscia;
- eliminare il sovrappeso;
- seguire un’alimentazione ricca di pesce, frutta e verdura fresca e povera di grassi, alcol e fritti;
- consumare mirtilli freschi è di notevole aiuto e sono consigliati anche gli agrumi, le ciliegie e le bietole crude.
- Le calze elastiche sono un valido ed efficace presidio terapeutico, a condizione che siano scelte e usate correttamente.
- La terapia farmacologica si avvale di sostanze protettive dei capillari (i flavonoidi) e di farmaci antinfiammatori e/o anticoagulanti, da assumere per uno o più cicli di cura.
- L’intervento chirurgico tradizionale consiste nello “stripping” (lo sfilamento) della grande safena, mediante una incisione a livello dell’inguine e una all’altezza della caviglia o, come si preferisce oggi, del ginocchio (il cosiddetto “stripping corto”).
- L’ablazione con radiofrequenza è un intervento chirurgico che, grazie all’energia a radiofrequenza, consente di riscaldare la parete delle vene varicose coinvolte nell’insufficienza venosa cronica. Mediante un piccolo taglio eseguito, generalmente, sopra il ginocchio si accede alla vena e con l’ausilio dell’ecografia, è possibile inserire un catetere nel vaso sanguigno coinvolto nella patologia. Dal catetere viene trasmessa energia a radiofrequenza che sottopone la vena al riscaldamento, che va a ledere le sue pareti chiudendola e bloccandola. A questo punto il sangue sarà naturalmente reindirizzato ad un circolo collaterale, scorrendo in una delle vene sane.
- Anche la laser terapia si avvale dell’ausilio di una guida ecografica e l’inserimento di un catetere in vena. Stavolta però è un raggio laser fatto passare attraverso il catetere, che rilascia l’energia necessaria per riscaldare la parete della vena varicosa responsabile dell’insufficienza venosa cronica fino ad occluderla. Di seguito e in maniera del tutto naturale, il sangue sarà reindirizzato a una delle vene sane attraverso un circolo collaterale.
Nei casi di varicosità iniziali, come alternativa allo “stripping“, è possibile intervenire con la “valvuloplastica safeno – femorale“, che consiste in un bendaggio di rinforzo della safena all’altezza dell’inguine.
Sempre nei casi di varicosità iniziali, un intervento terapeutico abbastanza diffuso sono le iniezioni sclerosanti, che causano la chiusura di interi tratti di vena superficiale compromessi, per escluderli dalla circolazione.
Se è vero che l’ablazione con la radiofrequenza e la laser terapia possono creare piccoli ma reversibili fastidiosi effetti collaterali quali ematomi, ustioni cutanee, formicolii alle gambe e lievi lesioni dei nervi, è pur vero che entrambi gli interventi producono risultati eccezionali nel trattamento dell’insufficienza venosa.
Per finire mi piace ricordare che: il tempo dedicato alla prevenzione non è mai “perso” ma solo ed esclusivamente “guadagnato”.
IVC e camminata quotidiana
La regola iniziale? Camminata quotidiana
Camminare fa bene alle gambe, in special modo a quelle che patiscono di Insufficienza Venosa Cronica. La prevenzione primaria suggerisce una passeggiata al giorno di almeno venti minuti con l’impiego contemporaneo di una calza elastica.
L’obbiettivo è quello di favorire il cosiddetto ritorno venoso che, a sua volta, evita ulteriore dilatazione delle vene e il peggioramento della malattia. Ma è anche importante controllare la corretta postura del piede che deve rispondere a precisi parametri.
I piedi in forma
Sette italiani su 10 hanno problemi alle estremità inferiori: basterebbero più igiene e buone calzature
I piedi non rappresentano solo l’estremità inferiore del corpo umano sono anche un capolavoro d’ingegneria. È sufficiente pensare ai suoi numeri: 26 ossa, 33 articolazioni, 114 legamenti, 20 muscoli e 250.000 ghiandole sudorifere.
Troppe volte li infiliamo nelle scarpe e ci dimentichiamo di loro, del grosso lavoro che svolgono, ci ricordiamo dei piedi solo quando ci fanno male; circa il 70% della popolazione ha patologie ai piedi ed una gran parte di queste sofferenze potrebbero essere attenuate con un minimo di prevenzione e di cura del piede.
Come mantengo in piedi in forma?
La scelta delle calzature, la pulizia dei piedi, le principali norme igieniche e la corretta andatura quando camminiamo sono precauzioni utili a salvaguardare i difficili compiti dei piedi che presiedono alla stazione eretta, alla deambulazione, alla corsa e alla corretta postura. Chi pratica abitualmente uno sport può facilmente andare incontro ad alterazioni cutanee ai piedi. Si tratta nella maggior parte dei casi di piccoli disturbi che possono essere facilmente evitati con una corretta igiene e con l’uso di calzature adeguate.
Dieta chetogenica
La dottoressa Adriana Carotenuto, esperta nutrizionista, ci spiega le virtù e le numerose applicazioni della Dieta Chetogenica.
Saranno almeno una decina d’anni che utilizzo la Dieta Chetogenica, essendo un protocollo ormai consolidato a livello ambulatoriale. Vanno fatte sin da subito delle precisazioni: non tutti i pazienti possono adottare questo protocollo, ci sono dei parametri di inclusione rigidi ed è possibile seguire questa terapia alimentare solo dopo aver effettuato controlli medici negli ambulatori di riferimento.
La Dieta Chetogenica è particolarmente indicata nel trattamento del Diabete tipo 2 e nella Sindrome metabolica, ma mostra grandi risultati nella riduzione delle adiposità localizzate e non solo.
L’assunzione di proteine (da 1,2 g a 1.5 g per kg di peso corporeo) e l’apporto calorico molto basso previsti da questa dieta, obbligano l’organismo ad utilizzare le proprie riserve energetiche e dopo l’esaurimento di queste ultime sotto forma di glicogeno, si instaura una gluconeogenesi epatica che va a produrre il 20% dei nutrienti stimolando la lipolisi e la chetogenesi.
Questo meccanismo fa sì che vengano utilizzati i lipidi concentrati nelle zone di deposito localizzato, tanto frequenti soprattutto nelle pazienti donne, le quali non di rado presentano un accumulo di grasso soprattutto nella regione trocanterica delle cosce e dei glutei. La capacità della Dieta Chetogenica è quella di mantenere invariata la parte superiore del corpo (già spesso più piccola rispetto alla parte inferiore) andando a ridurre soltanto l’adiposità localizzata.
La Dieta Chetogenica viene applicata anche in caso di linfedema, una vera e propria patologia rappresentata da gambe molto gonfie, con un ritorno venoso più lento. La terapia, riducendo l’adiposità della coscia riesce di conseguenza a migliorare anche il circolo venoso.
Personalmente prescrivo protocolli solo ed esclusivamente di 14 giorni di dieta chetogenica. Il motivo è legato alla “compliance” dei pazienti, che all’inizio reagiscono benissimo ma poi possono incappare in errori, anche banali, che rischiano di compromettere tutto il processo di chetosi e di dimagrimento.
I pazienti infatti, inizialmente hanno un’ottima risposta perché vedono una riduzione del peso corporeo già nella prima settimana (anche 2,5-3 kili) e in alcuni casi dopo 28 ore, massimo 36 vanno in chetosi godendo di questo effetto anoressizzante e euforizzante in modo da non aver fame e stare molto bene.
Bastano poi errori grossolani come prendere un caffè, anche senza zucchero, alla macchinetta per poi impedire la chetosi e gli effetti conseguenti. Per questo ribadisco come questo sia un protocollo che deve essere seguito con moltissima attenzione ed è fondamentale da parte del personale spiegare al paziente dettagliatamente tutto quello che non deve fare.
La differenza è notevole, anzi totale rispetto ad altre diete alimentari ipocaloriche o leggermente iperproteiche come capita di prescriverne a pazienti che non si possono includere nel protocollo della chetogenica per motivi patologici o diversi. Questi pazienti non riescono ad entrare in chetosi e nonostante tutte le cautele hanno sempre una perdita, sia della massa magra che della massa muscolare.
Con questa dieta invece cambia tutto, proprio perché mantiene il paziente con una massa muscolare costante e, come si può verificare con l’esame bio-impedenziometrico, anche dopo la dieta chetogenica ci si può ritrovare addirittura di fronte ad un aumento massa muscolare e della massa cellulare.
A fine protocollo, troveremo un metabolismo basale aumentato, perché la massa cellulare è la massa metabolicamente attiva. Parliamo di conseguenza di un protocollo differente rispetto a tutto il resto. Sottolineo ancora una volta che va fatta molta attenzione e va seguito sotto controllo medico.
Piedi: disturbi da calzature sportive
Piedi: ma lo sportivo non dimentichi di asciugarli con molta cura
Questi i disturbi più comuni dovuti all’uso di calzature sportive
Le vesciche consistono in un accumulo di fluido sotto la porzione più superficiale della cute a causa della eccessiva frizione di scarpe nuove o che non si adattano bene al piede. Le zone del piede più colpite sono il calcagno, le sporgenze ossee alla base dell’alluce e sul margine esterno alla base del quinto dito. Il trattamento per le piccole vesciche può essere limitato all’applicazione della borsa del ghiaccio ed è importante ricordare di non rimuovere mai la cute in superficie se quella sottostante non si è completamente rigenerata. Per gli allenamenti o le emergenze sono in vendita in farmacia cerotti specifici che consentono l’utilizzo delle calzature.
Le unghie incarnite si presentano a causa della compressione dell’alluce o delle dita vicino sulla punta della scarpa. La cura prevede l’applicazione di creme disinfettanti e antibiotiche e ha volte la crioterapia. Sono da evitare le calzature con la punta troppo stretta e non bisogna tagliare l’angolo dell’unghia troppo corto.
Tra le infezioni in genere croniche dei piedi degli atleti, la più comune è la micosi detta piede d’atleta. Si presenta con arrossamento, macerazione e tagli. La sudorazione eccessiva favorisce questo genere d’infezione che deve essere curata con antibiotici e antimicotici specifici. Per le prime manifestazioni cutanee sono sufficienti le terapie locali, nel caso invece si tratti di una infezione più grande si assumono farmaci per bocca per brevi cicli. Un’ottima prevenzione consiste nell’asciugare bene i piedi perché l’umidità è il terreno ideale per la nascita delle micosi.
I calli sono ispessimenti della cute frequenti spesso alla base delle dita o al calcagno. Le cause sono la particolare conformazione morfologica di alcuni piedi, (piede piatto, cavo, alluce valgo, dita a martello) sommate alle continue sollecitazioni del piede durante la pratica sportiva. In alcuni casi possono formarsi dei tilomi duri o molli come il cosiddetto occhio di pernice presente di solito tra il 4 e 5 dito. L’utilizzo di pomate cheratolitiche e la crioterapia aiutano a risolvere il fastidio ma è bene consultare un medico.
Scarpe: ogni modello un dolore o un fastidio
Tra tacco, punta e pianta larga, la scarpa spesso inganna
Il 70% della popolazione soffre di disturbi podologici. La colpa è quasi sempre delle scarpe, al punto che si potrebbe dire che, ad ogni modello corrisponde un dolore o un fastidio ai piedi. Chiamata in causa è soprattutto l’eleganza femminile anche se oggi richiede sacrifici meno invasivi di quelli di una volta.
Nelle calzature si vedono ancora tacchi alti e punte strette ma c’è più libertà nella scelta e meno vincoli con le antiche tradizioni. Il problema del tacco alto con più di 4 centimetri è di facile intuizione: ad ogni centimetro in più di tacco il baricentro del corpo si sposta in avanti, il bacino ruota in antiversione e le strutture muscolari e scheletriche della colonna vertebrale sono costrette ad un assestamento innaturale per compensare lo squilibrio in avanti.
Il peso del corpo con le scarpe con il tacco viene scaricato sull’impalcatura della volta plantare e sulle ossa metatarsali e non si distribuisce in maniera uniforme sulla superficie di appoggio del piede. Le donne dovrebbero calzare questo tipo di scarpa soltanto in occasioni speciali e per poco tempo, non è consigliato utilizzare il tacco per stare a lavoro tutta la giornata.
Il piede svolge anche la funzione di pompa per il sangue dalla periferia verso il centro ma la compressione forzata sfavorisce questa importante azione e la situazione peggiora con le punte strette che compromettono la mobilità delle dita e rischiano di provocare artrosi. I problemi che insorgono più di frequente sono alluce valgo, dita a martello, callosità e accorciamento del tendine di Achille che tende progressivamente a ritirarsi a causa dell’atteggiamento viziato del piede.
Le scarpe da ginnastica sono invece calzature che traggono in inganno. I piedi stanno decisamente più comodi ma spesso risentono di una scarsa traspirazione; hanno un supporto rigido per la caviglia, la punta flessibile, e una soletta con tacco sopraelevato, nonché un cuscinetto antiurti del tallone e suola adatta al tipo di sport.
Per tutti i giorni meglio indossare calzature da passeggio che rispettano la fisiologia del piede, punta e pianta larga, scarpe morbide con le suole spesse ed un profilo sufficiente ad attutire l’impatto sulle superfici dure dei marciapiedi e delle strade.
Come difendersi da punture di insetti e meduse
Ci auguriamo che non capiti, ma in vacanza è facile essere punti da insetti o meduse. Se è vero che un modo per azzerare il rischio non esiste, almeno possiamo reagire in maniera efficace per far sparire il dolore. Paolo Maurizio Soave, esperto del Centro Antiveleni del Policlinico Irccs Agostino Gemelli di Roma ci spiega come.
Il primo mito da sfatare è quello delle “pipì d’emergenza“. Ammoniaca e urina non servono contro il veleno di meduse e le tracine, meglio immergere la parte colpita in acqua calda o sabbia calda, perché il veleno viene disattivato dal calore. Poi, pomate cortisoniche, ricordandosi che la pelle non va esposta al sole perché può macchiarsi. Nel caso della medusa, strofinare la parte con un pezzo di plastica rigida aiuta a portare via le vescicole dei tentacoli che rimangono attaccate.
Quanto ai ragni, in Italia non si corrono grandi rischi, api e vespe sono decisamente più frequenti. «Le punture di questi insetti – dice l’esperto – non sono di norma pericolose. Se presente, bisogna cercare di estrarre il pungiglione senza spezzarlo. Poi, impacchi di acqua fredda o ghiaccio contro il gonfiore e trattamenti locali a base di pomate cortisoniche e antistaminiche. Nei rarissimi casi di reazione allergica, che si manifesta con difficoltà respiratorie, contattare subito un medico per la somministrazione di adrenalina».
Tutto questo nel malaugurato caso che si venga punti ma, con un po’ di attenzione e un pizzico di buon senso, anche i più sfortunati dovrebbero riuscire ad evitare problemi.