Salute delle gambe: come salvaguardarla dalle vene varicose
Per evitare l’insorgenza delle vene varicose, soprattutto in estate, è consigliabile fare dei semplici esercizi per salvaguardare la salute delle gambe. Vediamo insieme quali sono le cose da fare:
– camminare almeno mezz’ora al giorno: il movimento delle gambe durante la marcia riattiva il ritorno venoso, le gambe si gonfieranno di meno e le sentirete più leggere;
– è importante eseguire un controllo posturale e podologico, in quanto un cattivo appoggio plantare o una postura scorretta possono alterare il ritorno venoso con serie ripercussioni sia a livello delle vene – con la comparsa di vene varicose o altre malattie venose – sia determinando problemi di schiena o di ginocchio;
– se avete a cuore la salute delle gambe, dovete prestare particolare attenzione alla dieta: chi è in sovrappeso ha maggiori possibilità di soffrire per le vene varicose, quindi sì a verdura e frutta fresca, no a insaccati e fritture;
– bere almeno 2 litri di acqua al giorno, preferibilmente oligominerale, aiuta a liberarsi dai liquidi in eccesso; meglio evitare, invece, le bevande dolci e gassate;
– usare un abbigliamento che lasci traspirare le gambe ed evitare indumenti molto attillati come i jeans aderenti che possono creare un ostacolo al ritorno venoso o rendere difficile la traspirazione degli arti; entrambe condizioni che aumentano la possibilità di insorgenza delle vene varicose; molto meglio usare un abbigliamento che lasci traspirare le gambe;
– scarpe comode preferibilmente in cuoio e non in gomma, con un tacco a base larga e uno spessore di 3-4 cm, sono ottime per garantire il corretto sostegno al piede e il giusto ritorno venoso;
– nel caso di viaggi lunghi in auto, è importante sostare almeno ogni ora o due per distendere le gambe e camminare per alcuni minuti in modo da riattivare la circolazione;
– nel caso di viaggi lunghi superiori alle 8-10 ore, utilizzare delle calze elastiche adatte a combattere le vene varicose, e muoversi frequentemente;
– per la salute delle gambe, l’esposizione al sole deve essere graduale, non eccessiva, le gambe vanno protette con i filtri solari – in particolare nel corso delle prime esposizioni e, vanno bagnate continuamente in quanto l’evaporazione dell’acqua le raffredda riducendo così i danni delle alte temperature;
– un effetto particolarmente benefico può essere ottenuto utilizzando creme o gel tenuti in frigorifero ed applicati sulle gambe prima e dopo il mare;
– nuotare, camminare nell’acqua e fare uno dei tanti sport che si praticano d’estate in acqua, sono attività che riattivano la circolazione preservando la salute delle gambe;
– ad aerobica e step, meglio preferire una ginnastica leggera e a corpo libero;
– in caso di cellulite o di ipodermite delle gambe, si potrebbe ricorrere all’endermologie LPG, al drenaggio linfatico, o alla pressoterapia;
– quanto alla depilazione, meglio evitare le cerette a caldo che possono favorire la comparsa di capillari e dunque di vene varicose.
Avere cura della salute delle gambe non è poi così difficile e, il modo giusto per evitare capillari e vene varicose è prevenirle correggendo abitudini e atteggiamenti sbagliati.
Malattia Venosa e Trombosi
La malattia venosa interessa oltre il 50% della popolazione e ne sono colpite prevalentemente le donne.
La malattia venosa va dalle più comuni forme di inestetismo rappresentate da varicosità tronculari, reticolari, teleangectasie fino alle vene varicose; queste ultime si complicano spesso con trombosi e ulcere. La trombosi venosa profonda e l’embolia polmonare rappresentano le forme più gravi della malattia venosa. Quindi un panorama molto vasto di patologie, alcune con un significato prevalentemente benigno altre che possono complicarsi con una mortalità ancora molto elevata se pensiamo che ad oggi oltre 20.000 pazienti muoiono ogni anno per embolia polmonare.
In particolare la gravidanza è ancora molto segnata da una elevata mortalità per embolia polmonare.
Le vene varicose, la cui etiopatogenesi è essenzialmente legata alla familiarità, possono complicarsi fino al 40% dei casi in trombosi venose superficiali e/o profonde ma in molti casi è determinante la presenza di trombofilie.
Con questo termine intendiamo la predisposizione allo sviluppo di patologie trombotiche dovute ad anomalie congenite o acquisite della coagulazione. Negli ultimi anni sono state identificate molte alterazioni trombofiliche ciascuna con una importanza diversa per quanto riguarda la genesi dell’evento trombotico. È quindi, oggi, opportuno di fronte ad una situazione di trombosi accertata o di rischio rappresentato da un intervento chirurgico (ortopedico, addominale, neurochirurgico, ginecologico) approfondire l’aspetto coagulativo per poter predisporre la terapia o la prevenzione più opportuna.
Anche l’uso degli estro-progestinici, frequentemente responsabili di trombosi o embolie polmonari in giovani donne, dovrebbero suggerire uno studio più approfondito della coagulazione non limitato esclusivamente all’emocromo, Pt, Ptt, INR, Fibrinogeno e ATIII ma andrebbero controllate anche l’omocisteinemia, LAC, Resistenza alla proteina C attivata, proteina S plasmatica e proteina C plasmatica. Una particolare attenzione deve essere dedicata alle trombosi venose superficiali su “vena sana” e alle trombosi venose profonde senza concause.
In questi casi, un tempo inspiegabili, si è identificato nel 40% dei casi una trombofilia ereditaria; in altri casi l’attenzione deve essere posta alla trombosi come spia di una malattia insorgente o di una neoplasia in atto.
Le trombofilie ereditarie possono essere causate da difetto delle proteine anticoagulanti, proteina C plasmatica e proteina S plasmatica, e mutazioni “gain of function”, con conseguente incremento dei livelli plasmatici o della funzione dei fattori V (FV G1691A Leiden) e II (FII G20210A) della coagulazione.
I difetti degli inibitori fisiologici della coagulazione e le forme omozigoti del fattore V Leiden e del polimorfismo G20210A della protrombina sono universalmente considerati difetti trombofilici “gravi”, poiché determinano un notevole incremento, da 4 a 30 volte, del rischio di episodi di trombosi, spesso idiopatici, ricorrenti e in giovane età (entro i 30 anni).
Viceversa, i soggetti con eterozigosi del fattore V Leiden o del polimorfismo G20210A della protrombina hanno un incremento da 2 a 7 volte del rischio di TEV rispetto alla popolazione generale e tendono a manifestare gli episodi in età più avanzata (mediana 40 anni).
Il difetto di antitrombina rappresenta, senza dubbio, la trombofilia ereditaria più severa, poiché comporta un incremento di oltre 50 volte del rischio di TEV ma e’ anche la più rara.
Tra le trombofilie acquisite sono da annoverare gli anticorpi anti-fosfolipidi (lupus anticoagulant-LAC, anticardiolipina, cioè anticorpi diretti contro vari tipi di proteine.
Il riscontro di almeno uno di questi anticorpi nel plasma del paziente, confermato a distanza di 12 settimane, in associazione a trombosi venosa o arteriosa o a complicanze ostetriche, configura il quadro della sindrome da anticorpi antifosfolipidi.
Tra le trombofilie a componente mista, sia congenita che acquisita, l’iperomocisteinemia può conseguire sia a mutazioni degli enzimi del metabolismo dell’omocisteina, aminoacido derivato dalla metionina, che a cause ambientali. Queste ultime sono tutte le condizioni che comportano una riduzione dei livelli ematici delle vitamine B6 e B12 e dell’acido folico, cofattori del metabolismo dell’omocisteina. Livelli aumentati di omocisteina si associano anche a insufficienza renale, ipotiroidismo, diabete, abitudine al fumo, uso di alcuni farmaci. La mutazione genetica più frequente è la variante del gene della metilentetraidrofolato reduttasi (MTHFR) che comporta un aumento modesto dei livelli di omocisteina.
La prevalenza di questa variante, trasmessa in forma autosomica recessiva, è stata stimata pari al 30-40% della popolazione generale italiana. Si tratta,comunque, di un blando fattore di rischio trombofilico (incremento di 1.5 volte del rischio di TEV). Per questo motivo non se ne consiglia la valutazione in clinica al di fuori del contesto della ricerca scientifica.
Infine, è stata dimostrata in più occasioni un’associazione tra elevati livelli ematici di alcuni fattori della coagulazione, in particolare il fattore VIII, ed un modesto aumento del rischio di TEV. I livelli dei fattori della coagulazione sono sia influenzati da condizioni ambientali (come la flogosi), che determinati geneticamente anche se, ad oggi, non sono state individuate mutazioni genetiche in grado di causare incrementi delle loro concentrazioni plasmatiche.
I test funzionali per trombofilia possono risultare alterati durante la fase acuta dell’evento trombotico, in corso di terapia anticoagulante (sia orale che parenterale), durante la terapia estro-progestinica, durante la gravidanza, in corso di gravi epatopatie, di sindrome nefrosica o coagulazione intravascolare disseminata. Pertanto, eventuali risultati alterati, ottenuti in queste condizioni, non potrebbero essere ritenuti attendibili, comporterebbero errori diagnostici e quindi andrebbero comunque ripetuti. Viceversa, possono essere sempre eseguiti i test genetici e la ricerca degli anticorpi antifosfolipidi.
Ad oggi, non esiste un consenso unanime circa le situazioni in cui sia utile sottoporre i pazienti a screening per trombofilia. Tuttavia, appare evidente come uno screening indiscriminato in tutti i pazienti con flebopatia o esposti a situazioni a rischio (come un intervento chirurgico, la gravidanza o la terapia estro-progestinica) non sia di alcuna utilità, ma, anzi, possa, in qualche caso, risultare controproducente. Sappiamo inoltre che uno screening è utile solo se i risultati ottenuti permettono di modificare le nostre scelte terapeutiche nei confronti del paziente che viene esaminato.
Pertanto, nella fase acuta dell’evento trombotico, non è indicato sottoporre il paziente a screening per trombofilia in quanto, come suggerito dalle linee guida, è necessario intraprendere una terapia anticoagulante indipendentemente dalla presenza o meno, in quel paziente, di anomalie trombofiliche. Semmai, un discorso a parte merita il deficit di antitrombina, l’unica trombofilia che, seppur molto rara, andrebbe esclusa quanto prima poiché può comportare una resistenza del paziente al trattamento anticoagulante con eparina, con peggioramento del quadro clinico.
Superata la fase acuta dell’evento (almeno 3 mesi), occorre determinare la durata della terapia anticoagulante bilanciando il rischio di recidiva di TEV con quello di complicanze emorragiche. In caso di TEV secondario a fattore di rischio transitorio è ragionevole sospendere l’anti-coagulazione, senza, anche in questo caso, sottoporre il paziente ad ulteriori indagini di laboratorio.
Ma in caso di TEV idiopatico, la presenza di un’alterazione trombofilica può aumentare il rischio di recidiva al punto di modificare la nostra gestione ed indurci a proseguire l’anticoagulazione sine die? Per rispondere a questo interrogativo, sono stati condotti diversi studi prospettici e metanalisi, con risultati talora contrastanti ma che, in generale, hanno smentito un eventuale ruolo della trombofilia nell’individuare i pazienti con un rischio di recidiva abbastanza elevato da giustificare una terapia anticoagulante prolungata. Diverso è il caso degli anticorpi anti-fosfolipidi, il cui reperto, se confermato, configura il quadro clinico della sindrome da anticorpi antifosfolipidi per cui è indicata un’anti-coagulazione a lungo termine.
Può invece risultare utile effettuare uno screening per trombofilia in caso di trombosi idiopatiche insorte in età giovanile, specie se recidivanti, o in sedi non usuali, o in corso di gravidanza, o in donne che fanno uso di contraccettivi orali o terapia ormonale sostitutiva o, in caso di TVS su vena sana. In tutte queste condizioni cliniche, il reperto di un’anomalia trombofilica, ad eccezione, di nuovo, degli anticorpi anti-fosfolipidi, non modifica l’iter terapeutico ma può contribuire a dare una spiegazione eziologica all’evento e magari indurre ad estendere la ricerca, in caso di riscontro di anomalie trombofiliche gravi, ai familiari del paziente.
Inoltre, va tenuto presente che interpretare i risultati dei test di screening per trombofilia in modo isolato costituisce un errore in quanto l’evento trombotico ha una patogenesi multifattoriale: la trombofilia, sia essa genetica che acquisita, rappresenta solo uno dei protagonisti del complesso scenario in cui si sviluppano le flebopatie.
Nuovi anticoagulanti orali: progressi e limitazioni nel mondo reale
I benefici dei nuovi anticoagulanti orali
Il gruppo dei nuovi anticoagulanti orali diretti (DOAC), con i loro risultati favorevoli negli studi clinici di fase III su vasta scala, rappresenta un progresso fondamentale ed ha espanso l’arsenale della terapia anti-trombotica. Dabigatran, Rivaroxaban, Apixaban ed Edoxaban vengono ora impiegati di routine per prevenzione e trattamento delle patologie trombotiche venose ed arteriose proprio come negli studi clinici.
Ci si attende che l’impiego dei DOAC si incrementi sia con l’esperienza dei medici nella loro gestione, sia con i dati derivanti dagli studi nel mondo reale, che in genere sono coerenti con gli studi clinici. Lo sviluppo di antidoti specifici per la gestione delle complicazioni emorragiche e quello di esami della coagulazione per il livello plasmatico dei anticoagulanti orali rafforzeranno ulteriormente la fiducia che si ripone in questi farmaci, ma sussistono ancora limitazioni ad essi associate.
Quali sono le limitazioni dei farmaci anticoagulanti?
Molti pazienti che necessitano di terapie anticoagulanti per indicazioni non studiate nelle indagini cliniche non vengono considerati candidati ai DOAC. Le aree in cui sono necessari altri dati comprendono l’uso pediatrico dei DOAC, i pazienti con fibrillazione atriale e cardiopatie valvolari, le trombosi associate a sindromi antifosfolipidi e quelle associate ai tumori.
I costi economici e l’accesso a questi farmaci anticoagulanti potrebbero rappresentare un problema per molti pazienti sotto sistemi sanitari che non li forniscono. Dato che quattro nuovi anticoagulanti orali stanno uscendo rapidamente sul mercato, l’attenzione è stata spostata sull’approccio pratico e sulla gestione nella vita reale, dato che molti medici non hanno ancora familiarità con l’uso dei DOAC.
I medici devono essere educati sul modo di gestire questa nuova classe di farmaci, a partire dalla scelta del farmaco appropriato per gestire sia la prevenzione che le complicazioni emorragiche, dato che una carenza di comprensione e conoscenze porterebbe ad un impiego inappropriato dei farmaci stessi e comprometterebbe la sicurezza del paziente. (Thromb J. 2016; 14 (Suppl 1): 17. eCollection 2016).
Flavonoidi: composti chimici naturali diffusi nelle piante
Che cosa sono i flavonoidi?
I flavonoidi sono composti chimici naturali chiamati “spazzini” dei radicali liberi per il loro alto potere antiossidante. Giocano un ruolo essenziale contro le malattie, mantenendo sani più organi importanti e svolgendo compiti fondamentali in varie azioni quali:
- antinfiammatoria, per inibizione del rilascio di mediatori dell’infiammazione e stabilizzazione delle membrane cellulari;
- azione diuretica per inibizione della fosfatasi renale;
- azione spasmolitica sulla muscolatura bronchiale e a livello dell’intestino;
- antiallergica, potenziando l’azione antitossica epatica;
- anti-infettiva e preventiva per le malattie cardiache, riducendo l’adesività delle piastrine nel sangue;
- antitumorale, prevenendo la formazione dei carcinogeni nel tratto intestinale;
- chelante, ovvero catturano, neutralizzano ed eliminano i metalli pesanti.
Ultimamente sono stati condotti studi sperimentali ed i flavonoidi hanno dimostrato di possedere proprietà protettive sulle cellule del tessuto nervoso (neuroni) e del tessuto vascolare (endoteliali), e di agire sui meccanismi potenzialmente coinvolti nella patofisiologia della depressione. In particolare, hanno rivelato un’azione anti-infiammatoria sui neuroni, di controllo sulla morte cellulare per apoptosi (morte programmata della cellula) e di aumento del flusso sanguigno. I flavonoidi o bioflavonoidi sono contenuti principalmente nelle piante. Hanno un effetto sinergico alla vitamina C, per questo talvolta vengono indicati anche sotto il nome di vitamina C2.
Il loro nome deriva da “flavus” ovvero “giallo” per via del colore che danno alle piante. I flavonoidi hanno anche funzione di “scavenger” e possono inibire la produzione, l’aggregazione e l’adesività delle piastrine. Nel regno vegetale proteggono la pianta dagli effetti dannosi delle radiazioni solari, dalle aggressioni di patogeni ed intervengono attivamente nel suo metabolismo (crescita, respirazione, processi enzimatici, fotosintesi, attrazione visiva degli insetti utili per l’impollinazione). La classe dei flavonoidi, in natura, è piuttosto ampia; si conoscono più di 5000 composti ed il loro effetto terapeutico dipende in larga misura dal fitocomplesso.
Il cardo mariano, per esempio, espleta principalmente un’azione epatoprotettiva (stimola la funzionalità del fegato e lo protegge dalle tossine), il thè verde è particolarmente noto per le sue proprietà antiossidanti ed “anti-invecchiamento“, mentre l’ippocastano vanta un’importante azione protettiva e rinforzante sul microcircolo, una proprietà esaltata dalla contemporanea associazione di vitamina C. Analogo discorso per il vino rosso, che a dosi moderate influenza positivamente la salute cardiovascolare grazie alla sua ricchezza di flavonoidi e di altri polifenoli come il resveratrolo. In ambito farmaceutico, invece, si possono trovare in compresse che contengono particolari molecole, come: la rutina, che produce un’azione trofica sulla parete endoteliale; la diosmina, che regola la permeabilità dei vasi aumentando il tono venoso; la centella, che sintetizza il collagene quindi indicata per il gonfiore alle caviglie ed al trattamento della cellulite; l’esperidina, che ripara il danneggiamento del tessuto endoteliale.
I flavonoidi sono assunti prevalentemente sotto forma di integratori alimentari, che in funzione della diversa composizione dei principi attivi, sono più efficaci nel miglioramento di uno specifico disturbo.
Nello specifico ecco alcuni integratori alimentari a base di flavonoidi con specificati i disturbi sui quali hanno efficacia.
Il Flavoplus è composto da 4 componenti (Diosmina, Esperidina, Rutina, Centella) tutti flavonoidi con azione venotrofica volti a migliorare il microcircolo, ridurre la flogosi e regolare la permeabilità capillare.
Il Maxidren è invece composto da (Betulla, Centella, Pilosella e Meliloto) , è disponibile sia in compresse sia come liquido da diluire in acqua, in questo caso la sinergia tra i vari componenti funge da coadiuvante della terapia drenante, depurativa, nel sovrappeso e negli edemi.
In ultimo esistono anche delle formulazioni in crema che uniscono all’idratazione i benefici dei flavonoidi sulla cute. Il Tonogel è composto da (Rusco, Escina, Amamelide, Arnica, Calendula, Aloe). Grazie ai suoi costituenti fornisce una sensazione di benessere alle gambe, idrata e dona una sensazione di freschezza all’epidermide.
Cosa sono le Vene Varicose?
Varici o vene varicose
Il termine varice significa dilatazione, tortuosità. Le varici o vene varicose sono quindi una dilatazione delle vene che tendono successivamente ad assumere un aspetto tortuoso.
Le varici più classiche, le cosiddette varici tronculari si formano in corrispondenza delle ormai famose vene safene e soprattutto delle loro collaterali, ma molto spesso le varici formano una vera e propria rete periferica, da cui la definizione varici reticolari. Queste sono situate soprattutto sulle superfici esterne e posteriori delle cosce e delle gambe e possono presentarsi in forma circoscritta o diffusa alla maggior parte della superficie della coscia e della gamba. Le varici reticolari, di solito considerate soltanto un problema estetico, possono essere causa di disturbi tipici dell’insufficienza venosa al pari delle varici tronculari.
Le vene varicose sono più o meno visibili in rapporto ad una loro localizzazione più o meno superficiale e ne è colpita circa la metà (50%) della popolazione generale!
Perché si formano le varici?
La loro origine è basata sulle seguenti tre ipotesi:
- la dilatazione della parete venosa impedisce il corretto funzionamento delle valvole; il sangue circola in direzione opposta, cioè verso la periferia (reflusso) aumentando la dilatazione della parete. Si determina così un circolo vizioso progressivo che amplifica la malattia nel tempo.
- L’alterazione delle valvole rappresenta il primo evento che viene seguito dal successivo sfiancamento della parete e dal circolo vizioso descritto.
- La terza ipotesi è rappresentata dalla combinazione sincrona dei due precedenti meccanismi e sembra verificarsi nella maggior parte dei casi.
Sono ereditarie?
Una vera e propria ereditarietà non è dimostrata ma gli studi e l’esperienza confermano senza dubbio l’importanza della famigliarità nella comparsa e nella progressione di queste malattie. Anche in questo caso la tendenza appare più spiccata nel sesso femminile. Ad esempio: una donna, figlia di genitori entrambi portatori di vene varicose, ha una probabilità di sviluppare la stessa malattia del 95%. Se uno solo dei genitori è malato, la probabilità scende al 65%. Le percentuali nel maschio sono rispettivamente del 65% e del 25%.
Come si manifestano?
Nella fase iniziale della malattia si avverte senso di peso alle gambe ed alle caviglie, calore e stanchezza che si attenuano camminando. Compaiono crampi notturni al piede ed al polpaccio che si presentano con lunghi intervalli e, nelle fasi più avanzate, il gonfiore delle gambe e dei piedi.
Questi fastidi tendono ad accentuarsi in primavera-estate e, per la maggior parte delle donne, nel periodo premestruale. Generalmente le varicosità ed i capillari compaiono successivamente quando il quadro clinico tende a peggiorare. Ma questa non è una regola fissa. Infatti non sono rari i casi che presentano voluminose vene varicose accompagnate da disturbi minimi o addirittura assenti.
Si possono poi verificare complicazioni come le tromboflebiti, spesso accompagnate o seguite dalle ipodermiti (infiammazioni del tessuto sottocutaneo) o dalle linfangiti (infiammazione dei vasi linfatici che accompagnano le vene nel loro percorso). Quando la malattia ed il paziente sono abbandonati a se stessi, si presentano nel tempo danni sempre più gravi della circolazione venosa (in media del 9% per anno) e dei tessuti, fino alle ulcerazioni, che rappresentano la manifestazione estrema dell’insufficienza venosa cronica.
La tendenza progressiva della malattia, le moderne conoscenze e, non ultimo, il buon senso, suggeriscono di curarla nelle prime fasi, invece di attendere la comparsa di queste complicazioni.
Cosa sono i Capillari?
Capillari
La telangectasie, questo il termine scientifico che identifica i capillari malati, sono venule sottili rosse o bluastre situate nello spessore della pelle. Si parla spesso di capillari rotti. In realtà si tratta di capillari dilatati e quindi molto più visibili ed inestetici. La rottura dei piccoli vasi si manifesta invece con la comparsa di lividi (ecchimosi) ed è causata da una accentuata fragilità vasale che rappresenta una malattia diversa che spesso si associa ad altre malattie generali.
Questo problema riguarda quasi esclusivamente il sesso femminile; in circa il 40% dei casi sono localizzati alle cosce; solo in pochi casi possono dare bruciore e prurito, soprattutto nel periodo premestruale.
Qual è la causa dei capillari?
Nella maggior parte dei casi essi compaiono senza una causa ben precisa, ossia in assenza di problemi circolatori e spesso in assenza di vene varicose. Si è osservato, però, che esiste una certa predisposizione famigliare al problema, che la gravidanza e la “pillola” ne favoriscono la comparsa e che possono comparire in seguito ad un trauma contusivo, anche lieve, che ha coinvolto gli arti inferiori (per esempio massaggi troppo violenti).
Solo in una piccola percentuale di persone (15%) le telangectasie sono associate alle vene varicose tronculari, ma almeno in un terzo dei casi è possibile individuare, attraverso esami strumentali, un’insufficienza delle vene superficiali o interne non ancora clinicamente evidente. Più spesso, quasi in due terzi dei casi, sono invece associate a varici reticolari delle quali la paziente raramente si accorge perché attribuisce la massima importanza ai capillari più vistosi. In realtà molti di essi dipendono dalla alterazione circolatoria delle varici reticolari che li riforniscono (vene nutrici) e che, in queste situazioni, devono essere eliminate per prime. Il loro trattamento permette di ridurre considerevolmente gli stessi capillari, come vedremo in seguito.
Le forme più gravi ed estese di varici reticolari e di telangectasie possono non solo, come è stato detto, provocare disturbi, ma possono causare anche complicazioni come eczemi venosi e piccole emorragie da rottura, generalmente dopo un piccolo trauma come un graffio o un colpo diretto.
Come si curano?
Prima di tutto eliminando un’eventuale insufficienza venosa associata e le vene nutrici (varici reticolari) che le riforniscono.
La scleroterapia o terapia sclerosante (iniezioni nella vena di farmaci ad azione cicatrizzante eseguite con micro-aghi) e la laser-terapia.
Le telangectasie rosse, che sono le più sottili e resistenti, sono le più difficili da trattare ed è possibile ottimizzare i risultati con terapie complementari e la laser terapia.
In molti casi gli effetti di una scleroterapia possono essere duraturi negli anni; a volte possono invece essere necessari nuovi interventi perché anche le telangectasie sono una malattia evolutiva come tutte le altre che colpiscono le vene.
Terapie integrate
La scleroterapia, come complemento della chirurgia per la eliminazione delle varici periferiche più piccole e fragili, ne è l’esempio più brillante e soddisfacente. Questa combinazione riduce il peso dell’intervento chirurgico ed il numero di micro-incisioni e porta la scleroterapia ad una delle sue massime espressioni terapeutiche: una delle più efficaci e meno pericolose.
Altri esempi di terapie integrate sono rappresentati dai farmaci, dall’elastocompressione con bendaggi e calze, dalla terapia fisica, dalla ossigeno-terapia iperbarica, dalla ossigeno-ozono terapia e dalla luce polarizzata.
E’ oggi opinione comune nel mondo scientifico che i migliori risultati in Flebologia sono ottenuti proprio grazie a queste combinazioni e che quelli conseguiti con una sola tecnica sono evidentemente inferiori.
Terapia laser
E’ questo uno degli argomenti della Flebologia, e non solo di essa, che più incuriosisce per la enorme quantità di notizie che sono circolate in proposito.
“Non esiste ‘il’ LASER. Non esiste cioè un solo strumento capace di curare tutto!”
Esistono invece numerose apparecchiature capaci di emettere una radiazione luminosa, visibile o invisibile, di diverse lunghezze d’onda e con diverse energie di emissione. Ognuna di esse può essere usata in diversi campi di applicazione e per la cura di malattie diverse.
In Flebologia molti anni di lunghe sperimentazioni, talvolta coronate da successo, ma spesso da delusioni, hanno dimostrato che alcuni LASER di ultima generazione possono essere impiegati per la foto-coagulazione intravascolare di qualche piccola varice isolata, ma soprattutto come complemento alla scleroterapia delle telangectasie (capillari).
I LASER, come è già stato accennato, sono utili come trattamento di scelta per la eliminazione dei capillari rossi più sottili e per quelli del volto, naturalmente con bassi dosaggi di energia e molta prudenza. Se poi la sperimentazione in atto con nuovi metodi e strumenti potrà fornire migliori risultati a breve e lungo termine, una adeguata informazione in proposito dovrà essere fornita solo dopo le opportune verifiche scientifiche.
Insufficienza Venosa Cronica
L’Insufficienza Venosa Cronica, sinteticamente detta IVC è un’alterazione della circolazione sanguigna degli arti inferiori, la cui causa principale è un difetto di chiusura delle valvole delle vene, che non riescono più ad impedire il reflusso del sangue verso i piedi, specialmente quando si è in posizione eretta. Normalmente la perfetta chiusura delle valvole consente la corretta circolazione venosa del flusso sanguigno che va dal basso verso l’alto, al cuore. Il funzionamento non ottimale della circolazione sanguigna determina un senso di pesantezza alle gambe, gonfiore e persino ulcere nella zona delle caviglie.
Il flusso della circolazione sanguigna, inizialmente, è spinto dal cuore in tutto l’organismo tramite le arterie, e ritorna verso il cuore per mezzo delle vene; nel compiere il percorso di ritorno, in special modo negli arti inferiori, il sangue perde naturalmente parte della pressione iniziale e ha bisogno del supporto e della spinta fornita dai muscoli dei piedi e delle gambe per opporsi alla forza gravità e risalire al cuore.
Per aiutare il reflusso sanguigno, le vene sono dotate di una serie di valvole che si aprono quando il sangue è spinto verso l’alto e si chiudono quando comincia ha ricadere verso il basso. In presenza di un difetto di chiusura delle valvole, il reflusso sanguigno fa più fatica e ristagna, causando un aumento della pressione all’interno delle vene ed una fuoriuscita di liquidi dalle vene ai tessuti, in particolare nella zona delle caviglie. La pelle delle caviglie a causa del ristagno del sangue, dei liquidi e di una cattiva ossigenazione, causa sofferenze alla pelle che diventa sottile e fragile e sulla quale si notano macchie brunastre dovute a piccole rotture di capillari.
Insufficienza Venosa Cronica: soggetti a rischio.
La IVC è un problema molto diffuso nelle civiltà industrializzate, e l’Italia non è da meno, stimando che quasi la metà della popolazione adulta è a rischio di disturbi legati alla Insufficienza Venosa Cronica.
Lo strato di popolazione maggiormente a rischio è quello delle persone in sovrappeso o obese, ma non solo, talvolta le cause si manifestano anche in soggetti di giovane età, in special modo quando in famiglia risultano esserci molte persone con lo stesso tipo di problema.
Per le donne poi, vi sono alcuni momenti della vita, nei quali si può incorrere maggiormente nel rischio di essere soggetti a IVC, in particolare durante la gravidanza o in menopausa e per queste persone è necessario adottare precauzioni e uno stile di vita adeguato.
Quindi per i soggetti a rischio Insufficienza Venosa Cronica diventa necessario rivolgersi al proprio medico curante, per poter valutare se esistano i presupposti per rivolgersi ad uno specialista in Chirurgia Vascolare, che possa indicare i necessari esami clinici di approfondimento e per iniziare subito un adeguato trattamento.
Insufficienza Venosa Cronica: quali sono i disturbi alle gambe?
Restare molto tempo in piedi e risentire di una certa pesantezza alle gambe, potrebbe sembrare un disturbo di poco conto, specialmente quando fa più caldo; invece, se il malessere si verifica con una certa frequenza è proprio quella la spia di qualcosa che non va. Se a questo si associa la dilatazione delle vene superficiali e l’accentuarsi verso sera, della pesantezza alle gambe e di un preoccupante gonfiore alle caviglie, allora è proprio segno che è in atto, una Insufficienza Venosa Cronica alle gambe.
Insufficienza Venosa Cronica: è una malattia pericolosa?
Se la pericolosità è riferita al rischio della vita, no non è così.
Ma se facciamo riferimento ad un netto e deciso peggioramento della qualità della vita, si.
La IVC specie quando si presenta con le complicanze delle ulcere da stasi cronica, modifica completamente la vita dei pazienti, perché le ulcere da stasi sono di solito dolorose e di difficile guarigione, necessitano di continue medicazioni ed una volta guarite, tendono a riformarsi. Ed infine come ovvia conseguenza, limitano molto l’autonomia personale dei pazienti, impedendo la capacità di camminare.
Ecco perché è bene che in presenza dei primi sintomi ci si rivolga ad un medico di famiglia per un parere ed eventualmente ad uno specialista in Chirurgia Vascolare.
Spesso basta solo l’evidenza dei sintomi: gonfiore alle caviglie, cambiamento di colore della pelle, comparsa di macchie scure, la storia familiare ed al limite la presenza di ulcere a, far sospettare al medico curante la presenza della Insufficienza Venosa Cronica. E sarà cura dello specialista suggerire un ecocolordoppler che consentirà di esaminare in modo particolarmente dettagliato, le condizioni delle vene degli arti inferiori. L’ecocolordoppler è un esame non traumatico, non invasivo simile ad una ecografia.
Insufficienza Venosa Cronica: Come si può prevenire?
La prevenzione deve essere messa in campo fin dalla giovane età, e si tratta di un’attività che non previene soltanto l’IVC. Bisogna cambiare il proprio stile di vita per correggere tutti quei fattori che hanno come rischio l’obesità, a cominciare per esempio, dalla sedentarietà e dall’eccesso o dall’errata alimentazione. Questa pratica, già salutare di per se è tanto più valida per coloro che hanno una storia di familiarità con le vene varicose o la IVC. Anche per le donne in gravidanza un eccessivo aumento di peso corporeo non è un evento positivo, indipendentemente dal fatto di riuscire, dopo il parto, a riacquistare il proprio peso normale.
Quindi, sostenere uno stile di vita sano, praticando regolarmente attività fisica, con un’alimentazione varia e bilanciata per mantenere il peso corporeo nella norma, indossando abiti confortevoli e scarpe comode è un’ottima attività di prevenzione, per evitare che con l’avanzare dell’età, si possa correre il rischio di ammalarsi di Insufficienza Venosa Cronica alle gambe.
Insufficienza Venosa Cronica: come si cura?
Anche per la cura, vale quanto detto per la prevenzione, bisogna modificare il proprio stile di vita per ridurre al minimo i rischi di obesità e di sedentarietà; camminare almeno mezz’ora al giorno in modo che i muscoli collaborino alla circolazione sanguigna, spingendo il sangue verso il cuore ed evitare il ristagno con il conseguente gonfiore nelle gambe all’altezza delle caviglie. Durante la giornata, se possibile, si possono tenere le gambe il più possibile sollevate o si possono effettuare esercizi che possano favorire l’eliminazione dei liquidi in eccesso. Questi semplici accorgimenti, se regolarmente eseguiti possono essere, per i casi meno gravi, il principale trattamento per la cura.
Per contrastare il ristagno dei liquidi negli arti inferiori, all’altezza delle caviglie, è particolarmente utile l’uso delle calze elastiche, che debbono essere correttamente indossate per ottenere il massimo dei benefici. Nonostante l’apparente difficoltà di indossarle, una volta che sono correttamente calzate e della giusta misura, le calze elastiche sono molto efficienti ed efficaci sia nella riduzione del senso di pesantezza alle gambe, che nella riduzione del gonfiore alle caviglie. Il loro uso quotidiano, riduce sensibilmente i rischi di peggioramento delle condizioni della pelle nelle zone interessate al gonfiore ed i rischi delle ulcere croniche. Non si tratta, nel caso delle calze elastiche, di un dispositivo estetico, anzi, sono da considerarsi un vero e proprio dispositivo terapeutico che deve essere prescritto dallo specialista in Chirurgia Vascolare.
A questi provvedimenti terapeutici, lo specialista può associare l’uso di specifici integratori alimentari che collaborano alla riduzione dei disturbi causati dalla Insufficienza Venosa Cronica e di migliorare la circolazione sanguigna. In relazione alla complessità della patologia del paziente lo specialista potrà ritenere necessario ricorrere alla terapia sclerosante, iniettando nelle vene delle sostanze che ne provocano la chiusura, o ad una terapia mininvasiva ambulatoriale con l’uso del laser che sostituisce egregiamente gli interventi chirurgici.
Un ulteriore suggerimento, valido particolarmente nel periodo estivo, è quello di evitare di sottoporre le gambe a bagni molto caldi o ad una prolungata esposizione al sole, specie nelle ore più calde della giornata; per godere dell’aspetto abbronzato delle gambe e dei benefici del sole, ci si potrà abbronzare nelle ore più fresche, mantenendo le gambe fresche con continui spruzzi di acqua fresca.
Se per tutti valgono i suggerimenti di porre attenzione ad evitare traumi e lesioni alle gambe ed a curare con attenzione l’igiene degli arti inferiori, per i soggetti affetti da Insufficienza Venosa Cronica, sono da considerare come una vera e propria prescrizione. In presenza di piccole ferite alla pelle delle gambe o dei piedi, è necessario sottoporle ad un esame del medico. Per la pulizia e l’igiene della pelle, si dovranno utilizzare detergenti neutri e al termine del lavaggio bisognerà asciugare con cura la parte. Qualora nonostante tutto, la pelle delle gambe tendesse comunque a diventare secca, sottile, screpolata, è opportuno, a sera dopo il bagno o la doccia, applicare una crema emolliente e rinfrescante.