Manteniamo in forma le gambe
Trascorriamo ore seduti al volante, in autobus, in metropolitana, in ufficio, camminiamo poco, facciamo scarsa attività fisica. Ciò crea una serie di problemi alle nostre gambe: problemi di circolazione, problemi alle vene.
– E’ vero che circa la metà della popolazione soffre di malattia venosa agli arti inferiori?
I dati più recenti parlano di oltre il 50% della popolazione affetto da malattia venosa, dalla forma più lieve alle complicanze gravi; questo significa che ad ogni persona sana corrisponde una persona con malattia venosa. Responsabile di ciò è soprattutto il fattore familiarità (oltre l’ottanta per cento); altre cause sono la sedentarietà e l’obesità. L’aumento notevole di pazienti affetti da malattia venosa sembrerebbe, infatti, particolarmente legato all’alimentazione, alla scarsa attività fisica e all’aumento, riscontrato negli ultimi anni, alle temperature ambientali. La deambulazione – una bella camminata quotidiana – riduce drasticamente lo sviluppo della malattia venosa e può servire sicuramente a scongiurarne le complicanze. Camminare mette in moto un complesso sistema che favorisce il ritorno venoso ed è per questo motivo che sollecitiamo continuamente i nostri pazienti ad una costante attività fisica.
– Le donne sono più soggette degli uomini alla malattia venosa?
Le donne sono interessate al problema in una misura che è circa due volte maggiore rispetto agli uomini. L’influenza degli estrogeni e del progesterone gioca un ruolo molto importante nella genesi della malattia venosa tant’è che alcune forme come le teleangectasie, ovvero l’aumento delle dimensioni e del numero dei piccoli vasi sanguigni – i capillari – con successivo arrossamento della pelle soprattutto sul naso e sulle guance, sono caratteristica quasi esclusiva del sesso femminile. Anche la gravidanza rappresenta un momento ad alto rischio di malattia venosa proprio per lo scompaginamento creato dal torrente in piena degli ormoni.
– Professor Scaramuzzino, in che cosa consiste la malattia venosa e quali sono i suoi diversi aspetti?
Si va dalle banali teleangectasie che rappresentano più un problema estetico, alle forme complicate di tromboflebiti e trombosi venosa profonda, passando attraverso la malattia varicosa e terminando con la sindrome post flebitica e i suoi vari quadri ulcerativi.
– Quali sono i sintomi?
Edema, senso di pesantezza, prurito, gambe stanche, calore: questi sono i primi sintomi che con il tempo tendono ad accentuarsi e ad aggravarsi; inizialmente possiamo avere dei segni scarsi, dei piccoli rigonfiamenti o dei cordoncini verdastri poco significativi che con il tempo tendono ad aumentare; il soprappeso, la sedentarietà, le gravidanze aggravano queste condizioni iniziali e portano rapidamente ad un peggioramento dei segni e dei sintomi.
– Si può fare prevenzione? A quale età bisogna cominciare?
La prevenzione riduce significativamente la progressione della malattia venosa ed è per questo motivo che le istituzioni rappresentate dal Collegio Italiano di Flebologia si muovono da molti anni per stimolare sempre di più medici e pazienti verso una attiva prevenzione. Non c’è un’età precisa per iniziare la prevenzione: fin da bambini è opportuno controllare un eventuale soprappeso e la postura. La prevenzione dovrebbe essere più attenta quando è presente una familiarità per la malattia venosa o per le tromboflebiti. Negli ultimi anni sono stati individuati esami della coagulazione che possono avere un significato importante nella prevenzione delle tromboflebiti e degli incidenti vascolari ischemici cardiaci e cerebrali.
– Quando il problema si manifesta a quale specialista bisogna rivolgersi?
Lo specialista più indicato per la gestione della malattia venosa è attualmente il flebologo, una figura emersa nel corso degli ultimi vent’anni con una specifica esperienza in questo campo. Anche gli angiologi ed i chirurghi vascolari possono gestire eccellentemente la malattia venosa. E’ necessaria sempre una buona esperienza e una organizzazione di alto livello anche di tipo tecnologico.
– Qual è la terapia più adatta?
Non esiste la terapia più adatta: ciascuna forma può richiedere un trattamento diverso o più trattamenti diversi in tempi diversi. E’ ciò che succede, per esempio, quando sottoponiamo un paziente ad un intervento chirurgico e completiamo successivamente con il laser e la scleroterapia. Anche la terapia medica (flebotonici, integratori fitoterapici per le gambe, eparina, eccetera) svolge un ruolo chiave sia nella prevenzione della malattia venosa che nel trattamento delle complicanze.
– Professore, quando si deve intervenire chirurgicamente?
L’intervento chirurgico è riservato a casi particolari rappresentati dalle varici e dalle ulcere. Tale intervento può essere, oggi, di tipo conservativo: non vengono più asportate le vene malate, ma si corregge il sistema emodinamico per ridurre la pressione all’interno e quindi “sgonfiare” le vene stesse. Ovviamente non è sempre possibile utilizzare metodiche conservative; molte volte è ancora necessario asportare qualche tratto di vena. Da qualche anno anche il laser ci è di aiuto per risolvere la malattia varicosa; attraverso un minuscolo catetere introdotto nella vena in anestesia locale possiamo intervenire su una safena – che è una grossa vena superficiale – dilatata ed incontinente. Non esiste una tecnica migliore di un’altra: ottimi risultati si ottengono in flebologia attraverso l’integrazione delle metodiche.
– Quali sono le tecniche più recenti adatte a risolvere i problemi causati dalla malattia venosa?
Prima ancora di agire sulle vene è necessario migliorare la postura del paziente. Il ritorno del sangue venoso al cuore è garantito proprio da un complesso sistema di pompe che partono dal piede; se la postura è scorretta il ritorno venoso entrerà in crisi e la malattia venosa potrà peggiorare. Ecco perché la visita flebologica deve comprendere necessariamente e contemporaneamente un controllo posturale.
Oltre il 50% della popolazione italiana presenta i segni della malattia venosa dalla forma più lieve fino alle situazioni più complicate.
Edema, senso di peso alle gambe, teleangectasie, varicosità reticolari sono i primi segni di malattia che se trascurata può evolvere verso la malattia varicosa, la tromboflebite, le ulcere; la prevenzione rappresenta uno degli impegni principali del flebologo anche in considerazione del costo economico e sociale che rappresenta la malattia venosa con le sue complicanze.
20.000 morti l’anno in Italia per embolia polmonare, prima causa di morte in gravidanza; 6000 pazienti (quanti ne muoiono ogni anno per carcinoma mammario) potrebbero essere salvati attraverso una più incisiva prevenzione.
Dieci consigli per mantenere in forma le nostre gambe
1) CAMMINARE
La regola fondamentale per la buona salute delle gambe è quella di tenerle in movimento. Camminare, salire e scendere le scale, fare esercizi di flesso-estensione degli arti inferiori serve a tonificare i muscoli, mantenere solide le microstrutture ossee, stimolare l’apporto arterioso, e soprattutto, per favorire il ritorno del sangue verso il cuore.
2) SOVRAPPESO
L’obesità contribuisce alla comparsa ed al peggioramento delle varici, favorisce il gonfiore delle gambe, la sensazione di pesantezza agli arti inferiori e accentua i dolori artrosici del piede del ginocchio e dell’anca. E’ importante controllare l’apporto calorico, evitare cibi grassi, fritture ed insaccati.
3) IGIENE PERSONALE
Evitare i pediluvi e i bagni d’acqua calda, l’esposizione ravvicinata a qualsiasi fonte di calore come termosifoni, stufe, camini e borse d’acqua calda.
Evitare saune, bagni turchi, fanghi e sabbiature. Assolutamente sconsigliate le cerette a caldo!!
4) DORMIRE
In posizione distesa, soprattutto durante il sonno, gli arti inferiori devono rimanere sollevati di 7/8 cm. La soluzione più semplice è quella di mettere degli spessori sotto ai piedi del letto (un paio di grossi libri, due mattoni…).
Durante periodi di lunga immobilità a letto è consigliabile muovere ripetutamente gli arti inferiori, soprattutto con movimenti di flesso-estensione dei piedi sulle gambe, facendo profonde e frequenti ispirazioni.
5) ABBIGLIAMENTO
Indossare vestiti comodi, freschi e leggeri evitando i jeans “attillati”.
Evitare le panciere, i cinti erniarie ed ogni tipo di compressione. Sconsigliate sono anche le giarrettiere che possono creare un ostacolo al deflusso venoso.
6) CALZATURE
Un corretto appoggio della pianta del piede e’ fondamentale per il buon funzionamento della pompa venosa. In caso di piede piatto, ad esempio, l’appoggio può essere ottimizzato con un plantare adeguato; anche una scarpa comoda a pianta larga può influire positivamente sul ritorno venoso.
Evitare scarpe strette o a punta; e’ consigliabile un tacco di circa 4-5 cm. Meglio se a base larga e in cuoio per favorire la traspirazione.
Evitare l’uso di stivali che comprimono o fanno sudare piedi e gambe.
7) VIAGGI
Per i piccoli spostamenti è sempre meglio rinunciare alla comodità dei mezzi di trasporto.
Durante i viaggi in automobile accomodarsi sul sedile posteriore, allungando le gambe e cercando di scendere ogni paio di ore per una breve passeggiata.
Durante i viaggi in treno tenere le gambe rialzate e alzarsi spesso per camminare.
8) VACANZE
Preferire climi freschi e secchi come quelli di montagna.
D’estate bagnarsi le gambe con frequenti docce fredde.
Al mare evitare di esporre le gambe al sole soprattutto durante le ore calde.
Particolarmente consigliato è il camminare nell’acqua del mare con il corpo immerso fino al bacino.
9) ATTIVITÀ FISICA
La parola d’ordine della prevenzione delle varici degli arti inferiori è quella di combattere la vita sedentaria.
È sconsigliato, quindi, stare a lungo in piedi fermi.
Quando si svolge un’attività lavorativa che obbliga a stare a lungo in piedi nella stessa posizione è consigliabile utilizzare delle calze elastiche e sollevarsi spesso sulla punta dei piedi in modo da favorire il ritorno venoso.
Evitare di accavallare le gambe.
Il nuoto è lo sport di elezione per i flebopatici. Altri sport da scegliere sono tutti quelli che si basano sulla ginnastica dolce come la marcia o la bicicletta.
Sono sconsigliati gli sport che impegnano le gambe con violenza.
10) POSTURA
Una postura scorretta può causare non solo problemi alla schiena ma anche alle gambe contribuendo a peggiorare la stasi venosa.
Intervista pubblicata da GD Tecnologie Interdisciplinari Farmaceutiche
Intervista a Lanfranco Scaramuzzino: Specialista in Chirurgia Vascolare a Napoli
Allarme vene? Il punto sulla situazione in Campania
“Le donne campane pensano di non trascurare le loro gambe e di essere sempre più attente alla prevenzione. Ma, come gli uomini, si preoccupano principalmente dell’aspetto estetico – parla il professore Lanfranco Scaramuzzino, Specialista in Chirurgia Vascolare a Napoli e Professore a contratto alla Scuola di Specializzazione dell’Università “Magna Graecia”-. È difficile convincerli a modificare lo stile di vita, cominciando dall’alimentazione e dalla sedentarietà e questo perché ritengono la malattia venosa solo un problema estetico di semplice risoluzione ignorando, invece, quanto serie e pericolose possano essere le complicanze”.
“Ritenere le malattie venose poco importanti – continua Lanfranco Scaramuzzino – se non addirittura solo “inestetismi”, è un grave errore da parte dei pazienti, così come interrompere le terapie. E per evitare questi errati comportamenti è importante che ben comprendano la serietà della situazione e quanto sia importante che le cure vengano effettuate in modo costante e continuato per evitare le complicanze. Le terapie farmacologiche sono efficaci, penso innanzitutto ai flavonoidi micronizzati, e in molti casi possono evitare al paziente di avere maggiori complicazioni e di dover ricorrere, infine, alle cure del chirurgo.
Quando parliamo di complicanze parliamo anche di tromboembolia polmonare che ogni anno provoca oltre 20.000 morti. Ci sono pazienti con situazioni venose gravi per i quali questi farmaci possono essere considerati addirittura dei salvavita. Si tratta, spesso, di pazienti anziani per i quali l’intervento chirurgico non sempre è possibile, e per i quali i costi della terapia sono davvero difficili da sostenere”.
Intervista pubblicata da Italia Salute
Rischio trombotico nel paziente flebopatico: prevalenza, inquadramento clinico e approccio terapeutico
L’insufficienza venosa cronica costituisce una condizione clinica molto rilevante sul piano epidemiologico, socio-sanitario e sulla qualità di vita dei pazienti a causa degli elevati tassi di incidenza, prevalenza, morbilità e complicanze. Dal punto di vista epidemiologico, la patologia venosa viene riscontrata nel 50% (Fig.1) della popolazione italiana, se si considerano tutte i quadri clinici, dalle forme più lievi alla trombosi venosa grave (Figg. 2-7). Il sesso femminile è inoltre colpito con una frequenza doppia rispetto a quello maschile.
La definizione e la classificazione delle patologie venose riscontrate in ambito clinico sono spesso eterogenee e influenzate dalla tipologia di valutazione dei segni e dei sintomi manifestati dai pazienti. Ai fini di risolvere tale eterogeneità, nel 1994 una commissione costituita da specialisti provenienti da differenti nazioni, ha ipotizzato e realizzato un sistema classificativo innovativo con l’obiettivo di definire una nuova modalità standardizzata di valutazione delle flebopatie. Tale sistema è stato denominato CEAP, in quanto si basa sui seguenti criteri: Clinici (C), Eziologici (E), Anatomici (A) e Fisiopatologici (P).
Una prima analisi del paziente deve essere effettuata per ricercare la presenza dei fattori che possono predisporre all’insorgenza della malattia venosa oppure che contribuiscono allo sviluppo di alcune complicanze quali la trombosi venosa superficiale (TVS), trombosi venosa profonda (TVP), embolia polmonare (EP) o ulcere (Tabb. I,II). Tra i fattori predisponenti un ruolo importante è svolto dalla familiarità. Sinora non è stata dimostrata una trasmissione genetica della patologia. La presenza di una predisposizione familiare si riscontra tuttavia nell’85% dei casi di varici agli arti inferiori; nel 22% dei casi la patologia insorge in pazienti che non riferiscono alcuna familiarità.
Come evidenziato nell’ambito di numerosi studi epidemiologici, l’incidenza delle varici sembrerebbe essere correlata con la gravidanza e con il numero dei parti espletati: da un’incidenza pari al 4-26%, riscontrata nelle donne nullipare, essa aumenta fino al 10-63% nelle donne che hanno avuto figli. Un ulteriore fattore clinico da prendere in considerazione è il peso corporeo. Infatti, i soggetti in sovrappeso, soprattutto se di sesso femminile e residenti in aree civilizzate, sono maggiormente affetti da IVC e da malattia varicosa rispetto a soggetti di peso normale: la prevalenza varia dal 25 ad oltre il 70% (in entrambi i sessi) nel primo gruppo rispetto al 16-45 % del secondo.
Le ulcere venose in fase attiva si riscontrano in circa lo 0,3% della popolazione adulta occidentale e con una prevalenza complessiva di ulcere attive e guarite pari all’1%; nel sottogruppo di soggetti con età superiore a 70 anni, la prevalenza di ulcere venose sale al 3%. Nell’ambito della patologia venosa, è inoltre importante valutare il rischio e gestire la possibile insorgenza di complicanze, quali la trombosi venosa, sia superficiale che profonda,e il tromboembolismo.
Che cos’è la tromboflebite superficiale?
Tra i fattori di rischio, la gravidanza rappresenta un fattore predisponente non solo alla TVP, come comunemente considerato, ma frequentemente anche alla tromboflebite superficiale.
Con una frequenza più rara, la tromboflebite superficiale può localizzarsi in altri distretti quali la vena toracica laterale (nella malattia di Mondor), la vena dorsale del pene, le vene dell’avambraccio (nelle tromboflebiti suppurative da cateterismo).
La tromboflebite superficiale, oltre a costituire una complicanza della patologia venosa, può insorgere anche su una vena precedentemente sana. Anche se la patologia viene considerata benigna, dalle evidenze pubblicate in letteratura emerge come l’evoluzione di una tromboflebite superficiale in trombosi venosa profonda e in embolia polmonare rappresenti una evenienza tutt’altro che rara.
Sulla base di queste considerazioni, si ritiene opportuno sostituire la terminologia “tromboflebite superficiale” a favore della definizione “trombosi venosa superficiale” (TVS) che meglio illustra la stretta correlazione esistente tra queste due condizioni.
Si calcola, infatti, che l’esistenza di una precedente TVS si associata a una probabilità di sviluppare una TVP oltre 4 volte superiore a quella osservabile nella popolazione normale (odd ratio 4,32; IC 1,76-10,61) (Tab. IV).
Come si sviluppa una trombosi venosa superficiale?
Dal punto di vista fisiopatogenetico, affinché si determini un evento tromboflebitico è necessaria l’attivazione del sistema emocoagulativo (Fig. 12) con successiva formazione del trombo. Nell’attivazione della coagulazione è necessario l’intervento di tre elementi, che agiscono da soli oppure in associazione (triade di Virchow):
- lesione endoteliale;
- stasi circolatoria;
- ipercoagulabilità ematica.
Il ruolo dell’ipercoagulabilità è sicuramente indiscusso nel caso di deficit congenito di antitrombina III e di proteina C. Studi recenti dimostrano, inoltre, che in molti casi di trombofilia a carattere familiare si può verificare una resistenza all’azione anticoagulante della proteina C attivata, dovuta a una mutazione del fattore V; in seguito a tale mutazione il fattore V, conserva le sue proprietà coagulanti ma è reso inattaccabile da parte della proteina C attivata. Nella tabella V, sono illustrate le principali condizioni, acquisite o geneticamente determinate, che comportano nell’organismo uno stato di trombofilia.
I momenti clinici della tromboflebite sono quindi caratterizzati dalla formazione del coagulo e dallo stato infiammatorio della parete della vena e dei tessuti circostanti. La patologia venosa trombotica può complicarsi e facilitare l’insorgenza della embolia polmonare: dal circolo superficiale infatti, i frammento del trombo possono passare al circolo profondo e successivamente, tramite le vene iliaca e cava, raggiungere la sezione destra del cuore e localizzarsi al distretto polmonare tramite l’arteria polmonare e i suoi rami. Le condizioni cliniche ed epidemiologiche che favoriscono il rischio di tromboembolismo sono molteplici e comprendono un pregresso episodio di tromboembolia venosa, l’immobilità prolungata, la presenza di neoplasie, un’età avanzata (>65 anni) e la presenza di vene varicose (Fig. 14).
La terapia della tromboflebite non può prescindere dal quadro eziopatogenetico e clinico. L’obiettivo primario del trattamento deve essere la riduzione di estensione del coagulo, la risoluzione dello stesso e il controllo dello stato infiammatorio. Andrà trattata o rimossa la noxa patogena causale (ormonale, settica, traumatica, altra patologia). La malattia varicosa, se responsabile della tromboflebite dovrà essere debitamente trattata con l’opportuna terapia chirurgica, la scleroterapica e la terapia elastocompressiva.
Per molto tempo la trombosi venosa superficiale è stata trattata con strategie differenti: antinfiammatori non steroidei in associazione con elastocompressione, cortisone nei casi più gravi, trombectomie nei pazienti con dolore intenso, stripping della safena o legatura della safena alla crosse nelle tromboflebiti ascendenti e molto vicine alla crosse per scongiurare una migrazione al profondo.
La somministrazione di antiflogistici non steroidei può avere un razionale in quanto questi farmaci attraverso la loro azione analgesica e antinfiammatoria possono accelerare il riassorbimento della flogosi perivenosa e ridurre quindi la sintomatologia del paziente; secondo alcuni autori inoltre vanno considerati gli importanti effetti antiaggreganti di questa categoria di farmaci.
Studi recenti hanno comparato l’uso di farmaci antitrombotici con la legatura safenica alla crosse nelle TVS senza TVP al fine di evitare l’insorgenza di complicazioni tromboemboliche. Il più importante tra questi è lo studio STENOX condotto su 427 pazienti, che ha preso in considerazione anche un gruppo di confronto trattato con placebo per una durata di 10 giorni e che ha dimostrato la superiorità dell’utilizzo di eparine a basso peso molecolare (LMWH), quali l’enoxaparina, somministrate a dosi profilattiche. Altri due importanti trial hanno comparato la LMWH con antinfiammatori non steroidei ed entrambi i risultati erano in favore delle LMWH.
Uno studio di Cospite et al., concludeva che il trattamento con sulodexide induce una costante, rapida e significativa remissione dei principali sintomi e segni delle patologie venose. Pinto inoltre ha posto a confronto due gruppi di 30 pazienti affetti da trombosi venose distali: un gruppo è stato trattato con sulodexide e l’altro con HMWH. Entrambi i trattamenti hanno mostrato un’efficace attività antitrombotica con riduzione dei livelli alterati di fibrinogeno e una rapida scomparsa dei sintomi e segni clinici della trombosi (arrossamento, ipertermia dolore ed edema) già dopo il decimo giorno di trattamento.
Tutti gli studi segnalano infine una maggiore tollerabilità del trattamento con sulodexide che viene somministrato per via orale.
Il sulodexide risulta quindi ideale, oltre che nel trattamento a medio e lungo termine della TVS, anche nel prevenire episodi di trombosi venosa superficiale nei pazienti affetti da vene varicose e nel ridurre la ricorrenza degli episodi trombotici.
Bibliografia:
- Agus GB, Allegra C, Arpaia G, Botta G, Cataldi A, Gasbarro V, Mancini S. Linee Guida Diagnostico Terapeutiche delle malattie delle vene e dei linfatici. Rapporto basato sull’evidenza a cura del Collegio Italiano di Flebologia. Acta Phlebologica 2000;vol 1, suppl 1.
- Alikhan R, Cohen AT, Combe S, Samama MM, Desjardins L, Eldor A, Janbon C, Leizorovicz A, Olsson CG, Turpie AG. Prevention of venous thromboembolism in medicai patients with enoxaparin: a subgroup analysis of the MEDENOX study. Blood Coagul Fibrinolysis 2003;14(4):341-346.
- Baglin TP, White K, Charles A. Fatal pulmonary embolism in hospitalised medicai patients. J Clin Patho 1997;50(7):609-610.
- Barrellier MT. Superfieial venous thromboses of the legs. Phlebologie 1993;46(4):633-639.
- Belcaro G et al. Superficial thrombophlebitis of the leqs; a randomized, controlled fol low-up study. Angiology 1999;50:523-529.
- Bergqvist D, Jaroszewski H. Deep vein thrombosis in patients with superficial thrombophlebitis of the leg. Br Med J (Clin Res Ed) 1986;292(6521):658-659.
- Blumenberg RM et al. Occult deep venous thrombosis complicating superficial thrombophlebitis. J VascSurg 1998;27;338-343.
- Blumenberg RM, Barton E, Gelfand ML, Skudder P, Brennan J. Occult deep venous thrombosis complicating superficial thrombophlebitis. J Vasc Surg 1998;27(2):338-343.
- Bounameaux H, Reber-Wasem MA. Superficial thrombophlebitis and deep vein thrombosis. A controversial association. Arch Intern Med 1997;157(16):1822-1824.
- Buller HR et al. Antithrombotic therapy for venous thromboembolic disease. The Seventh ACCP Conference on antithrombotic and thrombolytic therapy. Chest 2004;126:4018-4288.
- Cospite M, Ferrara F, Cospite V, Palazzini E. Sulodexide and the microcirculatory component in microphlebopathies. Curr Med Res Opin 1992;13(1):56-60.
- Decousus H, Leizorovicz A. Superficial thrombophlebitis of the legs: stilia lot to leam. J Thromb Haemost 2005;3:1149-1151.
- Dolovich LR et al. A meta-analysis comparing low-molecularweight heparins with infractionated heparin in the treatment of venous thromboembolism. Arch Intern Med 2000;160:181-188.
- Errichi BM, Cesarone MR, Belcaro G, Marinucci R, Ricci A, Ippolito A, Brandolini R, Vinciguerra G, Dugall M, Felicita A, Pellegrini L, Gizzi G, Ruffini M, Acerbi G, Bavera P, Renzo AD, Corsi M, Scoccianti M, Hosoi M, Lania M. Prevention of recurrent deep venous thrombosis with sulodexide: the SanVal registry. Angiology 2004;55(3):243-249.
- Gillet JL et al. Thromboses veineusessu-properficielles des membres inferieurs: etude prospective portent sur 100 patients. J Mal Vasc 2001;26:16-22.
- Gorty S, Patton-Adkins J, DaLanno M, Starr J, Dean S, Satiani B. Superficial venous thrombosis of the lower extremities: analysis of risk factors, and recurrence and role of anticoagulation. Vasc Med 2004;9(1):1-6.
- Jorgensen JO, Hanel KC, Morgan AM, Hunt JM. The incidence of deep venous thrombosis in patients with superficial thrombophlebitis of the lower limbs. J Vasc Surg 1993;18(1):70-73.
- Heit JA, Silverstein MD, Mohr DN, Petterson TM, Lohse CM, òFallon WM, Melton LJ 3rd. The epidemiology of venous thromboembolisminthe community. Thrornb Haemost 2001;86(1):452-463.
- Hyers TM, Agnelli G, Hull RD, Morris TA, Samama M, Tapson V, Weg JG. Antithrombotic therapy for venous thromboembolic disease. Chest 2001;119(1 8uppl):1768-1938.
- Lutter KS, KerrTM, Roedersheimer LR, Lohr JM, Sampson MG, Cranley JJ. Superficialthrombophlebitis diagnosed by duplex scanning. Surgery 1991;110(1):42-46.
- Marchiori A, Verlato F, Sabbion P, Camporese G, Rosso F, Mosena L, Andreozzi GM, Prandoni P. High versus low doses of unfractionated heparin for the treatment of superficial thrombophlebitis ofthe leg. A prospective, controlled, randomized study. Haematologica 2002;87(5):523-527.
- Pinto A, Corrao S, Galati D, Arnone S, Licata A, Parrinello G, Maniscalchi T, Licata G. Sulodexide versus calcium heparin in the medium- term treatment of deep vein thrombosis of the lower limbs. Angiology 1997;48(9):805-811.
- Plate G, Eklof B, Jensen R, Ohlin P. Deep venous thrombosis, pulmonary embolism and acute surgery in thrombophlebitis of the long saphenous vein. Acta ChirScand 1985;151(3):241-244.
- Prandoni P, Tormene D, Pesavento R; Vesalio Investigators Group. High vs low doses of low-molecular-weight heparin for the treatment of superficial vein thrombosis of the legs: a doubleblind, randomized trial. J Thromb Haemost 2005:3(6):1152-1157.
- Prountjos P, Bastounis E, Hadjinikolaou L, Felekuras E, Balas P. Superficial venous thrombosis of the lower extremities coexisting with deep venous thrombosis. A phlebographic study on 57 cases. IntAngio 1991;10(2):63-65.
- Skillman JJ, Kent KC, Porter DH, Kim D. Simultaneous occurrence of superficial and deep thrombophlebitis in the lower extremity. J Vasc Surg 1990;11(6):818-823;discussion 823-4.
- Superficial Thrombophlebitis Treated By Enoxaparin Study Group. A pilot randomized double-blind comparison of a low-molecular-weight heparin, a nonsteroidal antiinflammatory agent, and placebo in the treatment of superficial vein thrombosis. Arch Intern Med 2003;163(14):1657-1663.
- Titon JP et al. Therapeuticmanagement of superficial venous thrombosis with calcium nadroparin. Dosage testing and comparison with a non-steroidal anti-inflammatory agent. Ann Cardiol Angio 1994;43:160-166.
- Vaitkus PT, Leizorovicz A, Cohen AT, Turpie AG, Olsson CG, Goldhaber SZ; PREVENT Medicai Thromboprophylaxis Study Group. Mortality rates and risk factors for asymptomatic deep vein thrombosis in medicai patients. Thromb Haemost 2005;93(1):76-79.
- Verlato F, Zucchetta P, Prandoni P, Camporese G, Marzola MC, Salmistraro G, Bui F, Martini R, Rosso F, Andreozzi GM. An unexpectedly high ratecof pulmonary embolism in patients with superficial thrombophlebitis of the thigh. J Vasc Surg 1999;30(6):1113-1115.
Intervento alle varici: le tecniche per combattere le vene varicose
Diagnosi delle vene varicose
Prima ancora di decidere come intervenire chirurgicamente, è necessario fare un’accurata diagnosi per definire la tipologia d’intervento alle varici più adatta al singolo caso. Innanzitutto, non si può prescindere da un accurato studio clinico ed emodinamico. Gli ultrasuoni consentono, oggi, di poter studiare con chiarezza tutto il sistema venoso degli arti inferiori potendo determinare con assoluta certezza reflussi, dilatazioni, ostruzioni; a differenza del passato è ora possibile programmare prima l’intervento alle varici che vogliamo realizzare, possiamo prevedere con maggiore attendibilità i risultati che potremmo ottenere, il tutto con una invasività molto ridotta e con migliori risultati anche dal punto di vista estetico. Sì, perché le vene varicose molto spesso sono percepite come un inestetismo prima ancora che come una patologia. Terminata la diagnosi, una mappa pre-operatoria ben strutturata permette inoltre di realizzare anche gli interventi più complicati in anestesia locale, senza degenza e con minori rischi.
Come si effettua un’intervento alle varici
Fermo restando che non esistono dei parametri che possano definire in quale caso usare una tecnica ed in quale caso usarne un’altra, e che la scelta della tipologia d’intervento alle varici deve essere affidata all’esperienza del chirurgo e al quadro clinico, si può dire che le vene varicose non sono tutte uguali, per questo, dopo la diagnosi, bisogna valutare qual è l’operazione chirurgica più adatta al caso. L’intervento alle varici si può effettuare con diverse metodologie, in alcuni casi trova un’indicazione chiara e certa, in altri l’indicazione può essere più discutibile.
Tra le tecniche maggiormente utilizzate ci sono lo stripping ideato da Rima – Trendelemburg, poi una tecnica di flebectomia per mini-incisioni presentata da Robert Muller nel 1966 che ha avuto un gran successo per le caratteristiche di ambulatorialità e per i buoni risultati estetici e funzionali; e infine la CHIVA, un’innovativa tecnica conservativa e ambulatoriale per il trattamento delle vene varicose realizzata Claude Franceschi nel 1988. Ci sono voluti quasi dieci anni perché questa ultima tipologia di intervento alle varici venisse accettata ed è attualmente utilizzata con successo da molti centri nazionali e internazionali.
L’intervento alle varici più indicato nel caso di telangectasia, per esempio,è la flebectomia per mini-incisioni ideata da Muller, questa tecnica potrebbe infatti trovare una indicazione per eliminare il vaso afferente principale. In realtà, nella maggior parte dei casi, per abolire il vaso principale è sufficiente la scleroterapia che permette in questi casi anche migliori risultati estetici. Nel caso di varici tronculari e reticolari, si ricorre quasi sempre a un intervento di flebectomia mini-invasiva completato in seguito con una scleroterapia. Il trattamento delle varicosità safeniche e delle collaterali safeniche richiede una tipologia di intervento alle varici più complessa: valvuloplastica, CHIVA, stripping corto, lungo crossectomia e scleroterapia… sono queste le soluzioni chirurgiche più adottate e tra le quali scegliere prima dell’intervento.
Da sapere prima di un intervento alle varici
È molto importante che il chirurgo flebologo sia padrone di tutte le tecniche chirurgiche, nonché scleroterapeutiche. Solo così la scelta chirurgica potrà essere orientata dal quadro clinico ed emodinamico, e volta a ottenere un miglior risultato funzionale ed estetico con la minore aggressività possibile. È necessario, comunque, considerare sempre l’età di una paziente che deve essere sottoposta ad un intervento chirurgico alle vene varicose, le possibili gravidanze, il peso, la sedentarietà.
La malattia varicosa è da considerarsi sempre evolutiva, e per la scelta chirurgica questo problema deve essere tenuto sempre presente. Anche il trattamento delle complicanze della malattia varicosa ha risentito dei radicali cambiamenti di indirizzo degli ultimi dieci anni: ulcere, tromboflebiti, ipodermiti, anche nei pazienti molto anziani possono essere trattate con straordinario successo con un tipo di intervento alle varicose e con metodiche chirurgiche conservative in anestesia locale, senza rischio, e con brevissimi tempi di degenza.
Pubblicato da ABCsalute
30° Convegno Annuale di: Flebologia Oggi
FLEBOLOGIA OGGI 2016 – INNOVAZIONE E TECNOLOGIA
Responsabile Scientifico: L. Scaramuzzino
ACCREDITAMENTO ECM
Crediti ECM: 6
Il congresso è stato accreditato presso gli organi competenti del Ministero della Salute per tutte le figure profesasionali.
Per conseguire i crediti è necessario: ritirare la cartellina ECM al momento della registrazione, partecipare in misura del 100% ai lavori congressuali, riconsegnare la modulistica debitamente compilata e firmata al termine dell’evento in segreteria; raggiungimento di almeno il 75% delle risposte esatte del questionario di valutazione.
Per l’iscrizione prego rivolgersi alla segreteria organizzativa.
SEDE DEL CONVEGNO:
Sala Convegni Istituto Sacro Cuore
Corso Europa, 84 – 80127 Napoli
SEGRETERIA ORGANIZZATIVA E PROVIDER ECM:
Euro Medical Service S.r.l.
Via A. Manzoni, 259 – 80123 Napoli
Tel. 0815752799 – mobile 3939912739
www.emsgroup.it – info@emsgroup.it
PROGRAMMA DEL CONVEGNO FLEBOLOGIA OGGI
08:30 – 09:00 Registrazione Partecipanti
09:00 – 09:10 Presentazione del Convegno: L. Scaramuzzino
SESSIONE I
Presidente: P.L. Antignani
Moderatori: M.A. Farina, S. Montagnani
09:10 – 09:20 L’importanza della nutrizione – A. Caratenuto
09:20 – 09:30 Nutrizione come terapia – G. Castaldo
09:30 – 09:40 Il parere dell’oncologo – M. D’Aiuto
09:40 – 09:50 L’elastocompressione nello sportivo – L. Scaramuzzino
09:50 – 10:10 Scleroterapia e trombosi: opinioni a confronto
Il parere dell’angiologo – A. Niglio
Il parere del coagulologo – A. Tufano
10:10 – 10:40 Tavola Rotonda e Discussione Interattiva con i partecipanti
SESSIONE II
Presidente: C. Allegra
Moderatori: S. de Franciscis, P. Tondi
10:40 – 10:50 Casi clinici di piede diabetico – E. Cappello/F. Pompeo
10:50 – 11:00 Piede diabetico: rivascolarizzazione endovascolare – G. Morelli Coppola
11:00 – 11:10 Il trattamento medico del piede diabetico – P.L. Antignani
11:10 – 11:20 Trattamento conservativo del piede diabetico – A. Gröger
11:20 – 11:30 Polinucleotidi e derma porcino – L- Scaramuzzino
11:30 – 11:40 Linfodrenaggio e trattamento del dolore con MAM – S. Mandolesi
11:40 – 11:50 Il ruolo dell’ossigenoterapia nelle ulcere flebostatiche – M. De Luca
11:50 – 12:00 PDTA piede diabetico – L. Maresca
12:00 – 12:30 Discussione interattiva con i partecipanti
12:30 – 13:20 Light lunch
SESSIONE III
Presidente: L. Consiglio
Moderatori: B. Amato, G. Botta
13:20 – 13:30 Il Tecnico flebologo: una novità – A. d’Alessandro
13:30 – 13:40 Il trattamento delle iperpigmentazioni degli arti inferiori – M. Izzo
13:40 – 13:50 La terapia medica, novità – M. Pagano
13:50 – 14:00 Nuove tecnologie in flebologia – B. Bernardo
14:00 – 14:20 Discussione interattiva con i partecipanti
14:30 – 15:30 Tavola Rotonda con gli esperti: 2016 il trattamento delle vene varicose
Presidente: R. Del Guercio
Moderatori: M. Danese, S. De Franciscis
14:30 – 14:40 Il ruolo dell’ecocolordoppler nella procedura elves – D. Guarnaccia
14:40 – 14:50 Laser endovascolare – F. Zini
14:50 – 15:00 Radiofrequenza – F. Arienzo. G. Morelli Coppola
15:00 – 15:10 Scleromousse – W. Pacelli
15:10 – 15:20 Chiva – L. Scaramuzzino
15:20 – 15:30 La recidiva varicosa: aspetti emodinamici ed istologici – a. Sellitti
15:30 – 16:30 Discussione interattiva con i partecipanti e i relatori
B. Amato, P.L. Antignani, M. Apperti, G. Botta, F. Carbone, L. Consiglio,
L. del Guercio, M.A. Farina, C. Foggia, A. Gröger, W. Pacelli, A. Sellitti, P. Volpe
16:30 – 17:00 Chiusura del Convegno e Test ECM
a margine del Convegno si svolgerà una iniziativa di
Medicina preventiva e dello sport per i giovani
Controlliamo i giovani sportivi
dalle ore 9.00 alle 14.00 i giovani potranno essere sottoposti ad una visita finalizzata all’attività sportiva senza rilascio di certificazione.
Flebologia: come evitare problemi alle vene degli arti inferiori
Per restare «in gamba»
«A volte per incoraggiare qualcuno si dice semplicemente “in gamba!”, stessa espressione che si usa per definire la personalità spigliata e risoluta di chi sa il fatto suo. Eppure, nonostante di donne e di uomini “in gamba” in giro ve ne siano tanti, ben pochi di loro fanno attenzione ai segnali importanti che arrivano dagli arti inferiori, dimostrandosi meno “svegli” del dovuto».
Gli aspetti più importanti della trombosi venosa
Con la chiarezza e la semplicità che da sempre lo contraddistinguono, il flebologo Lanfranco Scaramuzzino ci chiarisce alcuni degli aspetti più importanti di una patologia non molto conosciuta ma estremamente comune, la trombosi venosa. «L’importante —chiarisce subito—, è evitare allarmismi ma al tempo stesso fare della sana e utile. Basti pensare che la trombosi venosa è un problema che accomuna e affligge il 50 per cento della popolazione italiana, dalla forma più lieve a quella più grave, e causa circa 20mila decessi l’anno, un dato che è, purtroppo, sottostimato».
Ma quali sono le cause dell’insorgere delle vene varicose, malattia che non si declina solo al femminile? Al primo posto gli esperti mettono la vita sedentaria, seguita dall’obesità e dalle malattia cardiocircolatorie. Per Scaramuzzino «la prevenzione è la migliore arma di difesa. Se si interviene in tempo si riduce significativamente la progressione della malattia venosa ed è per questo motivo che le istituzioni rappresentate dal Collegio italiano di Flebologia si muovono da molti anni per stimolare sempre di più i medici di base e i loro pazienti a non sottovalutare i segnali che arrivano dal corpo».
Tra le cause, al primo posto, gli esperti mettono la vita sedentaria, seguita DALL’OBESITÀ e dalle malattie cardiocircolatorie.
Particolarmente colpiti dalla trombosi venosa sono gli anziani allettati. Ma una certa incidenza la si riscontra anche tra le partorienti. Addirittura questa è considerata dagli addetti ai lavori la prima causa di mortalità. Va detto comunque che non esistono categorie esenti dal rischio. «Trascorrere 7 o 8 ore seduti in spazi ristretti, come quelli dei sediolini di un aereo —prosegue il flebologo— noi la definiamo economy class syndrome, può creare problemi a persone sane, figurarsi a quelle predisposte. Devo poi aggiungere un dato: sono tante le signore che vengono da noi per un problema estetico e ci consentono di fare luce su situazioni più serie e si ritorna al punto di partenza, la prevenzione».
Pubblicato dal Corriere del Mezzogiorno
Chirurgia mininvasiva per il benessere delle vene
Scaramuzzino: «Fondamentale un approccio multidisciplinare»
Un ingranaggio perfetto composto da ventisei ossa, muscoli e complesse articolazioni: il piede è il motore che genera la spinta e assieme alle “pompe veno muscolari” della gamba favorisce il ritorno del sangue al cuore. Una funzione che non tutti conoscono, e quindi sono in molti a ignorare che i nostri piedi, non solo ci permettono di avanzare, ma determinano anche il benessere di vene e arterie. Ecco perché, alterazioni dell’appoggio plantare come il piattismo o l’equinismo, determinano spesso condizioni che non favoriscono il ritorno veno-linfatico, causando un’insufficienza venosa e allo stesso tempo una situazione di stasi che contribuisce a peggiorare il quadro complessivo.
Nasce di qui l’importanza di un approccio multidisciplinare, e quindi di una sinergia tra flebologo, posturologo e ortopedico. Un lavoro di squadra che si rivela essenziale sia per prevenire che per trattare condizioni miste di insufficienza venosa e di alterazioni posturali che possono accentuare problemi di vene varicose o di ulcere. Vale però la pena spiegare, almeno in linea di massima, cosa sono le vene varicose. Da manuale, per “varicosi” o “malattia varicosa” si intende una dilatazione patologica permanente di una vena associata ad una modificazione di tipo regressivo delle pareti venose. In parole semplici si ha una dilatazione che può essere localizzata, con almeno una zona di nodosità, o diffusa.
Quali sono i fattori di rischio delle vene varicose?
Anche se esiste una predisposizione genetica alla costituzione della debolezza delle pareti venose, sono molti i fattori di rischio che possono portare a questa patologia. Le più colpite sono le donne, ma anche gli uomini posso soffrirne, soprattutto se trascorrono ore seduti alla scrivania. Le vene, diversamente dalle arterie, non posseggono uno strato muscolare molto sviluppato, quindi la vena si dilata quando la parete tende a rilasciarsi, a causa di una quantità di sangue superiore alla norma, oppure per un suo rallentamento. Questo processo può essere contrastato dai muscoli che circondano la vena, ma se la loro spinta è insufficiente allora la dilatazione può divenire costante.
“Operare in sinergia è essenziale per prevenire e per trattare condizioni miste di insufficienza venosa e alterazioni posturali che possono accentuare problemi alle gambe”
Come prevenire l’insufficienza venosa:
Con un lavoro efficace si riesce anche a ridurre le recidive dell’insufficienza venosa e delle sue complicazioni. Anche se intervenire in maniera precoce aiuta ad ottenere il massimo del risultato, le tecniche moderne consentono di procedere senza troppi fastidi anche nei casi più gravi. Interventi di chirurgia mininvasiva in anestesia locale, conservativi (quindi senza asportare le safene dilatate e insufficienti), ecoguidati, ma anche laser, radiofrequenza, scleroterapia, permettono di intervenire sia nelle fasi precoci che nelle condizioni più avanzate, con risultati funzionali ed estetici eccellenti e senza dover ricorrere a lunghi periodi di convalescenza.
In altre parole, con una ripresa praticamente immediata. Un accurato studio ecocolordoppler è il metodo principale per dare inizio ad un programma di “remise en forme” delle proprie gambe senza trascurare, quindi, una valutazione posturale e baropodometrica. In questo contesto, un’attenzione particolare è rivolta oggi verso la terapia rigenerativa cellulare: piastrine (fattori di crescita) e lipofilling, anche in campo flebologico, aprono scenari molto promettenti sia per le ulcere che per gli inestetismi cutanei.
Infine, da non trascurare assolutamente il fattore peso, che agisce sia sul fronte della stasi veno-linfatica sia a livello delle articolazioni, contribuendo a ridurne la funzionalità delle vene danneggiandole precocemente. E visto che siamo vicini all’estate dedichiamo un po’ di attenzione alle nostre gambe con un programma di controllo alimentare, attività fisica e magari con l’assunzione di flavonoidi che possono contribuire a migliorare il tono veno-linfatico, favorendo anche il ritorno venoso, riducendo quei fastidi tipici del periodo primavera-estate come senso di peso, stanchezza delle gambe, prurito e gonfiore.
Pubblicato dal Corriere del Mezzogiorno
Salute delle gambe: come salvaguardarla dalle vene varicose
Per evitare l’insorgenza delle vene varicose, soprattutto in estate, è consigliabile fare dei semplici esercizi per salvaguardare la salute delle gambe. Vediamo insieme quali sono le cose da fare:
– camminare almeno mezz’ora al giorno: il movimento delle gambe durante la marcia riattiva il ritorno venoso, le gambe si gonfieranno di meno e le sentirete più leggere;
– è importante eseguire un controllo posturale e podologico, in quanto un cattivo appoggio plantare o una postura scorretta possono alterare il ritorno venoso con serie ripercussioni sia a livello delle vene – con la comparsa di vene varicose o altre malattie venose – sia determinando problemi di schiena o di ginocchio;
– se avete a cuore la salute delle gambe, dovete prestare particolare attenzione alla dieta: chi è in sovrappeso ha maggiori possibilità di soffrire per le vene varicose, quindi sì a verdura e frutta fresca, no a insaccati e fritture;
– bere almeno 2 litri di acqua al giorno, preferibilmente oligominerale, aiuta a liberarsi dai liquidi in eccesso; meglio evitare, invece, le bevande dolci e gassate;
– usare un abbigliamento che lasci traspirare le gambe ed evitare indumenti molto attillati come i jeans aderenti che possono creare un ostacolo al ritorno venoso o rendere difficile la traspirazione degli arti; entrambe condizioni che aumentano la possibilità di insorgenza delle vene varicose; molto meglio usare un abbigliamento che lasci traspirare le gambe;
– scarpe comode preferibilmente in cuoio e non in gomma, con un tacco a base larga e uno spessore di 3-4 cm, sono ottime per garantire il corretto sostegno al piede e il giusto ritorno venoso;
– nel caso di viaggi lunghi in auto, è importante sostare almeno ogni ora o due per distendere le gambe e camminare per alcuni minuti in modo da riattivare la circolazione;
– nel caso di viaggi lunghi superiori alle 8-10 ore, utilizzare delle calze elastiche adatte a combattere le vene varicose, e muoversi frequentemente;
– per la salute delle gambe, l’esposizione al sole deve essere graduale, non eccessiva, le gambe vanno protette con i filtri solari – in particolare nel corso delle prime esposizioni e, vanno bagnate continuamente in quanto l’evaporazione dell’acqua le raffredda riducendo così i danni delle alte temperature;
– un effetto particolarmente benefico può essere ottenuto utilizzando creme o gel tenuti in frigorifero ed applicati sulle gambe prima e dopo il mare;
– nuotare, camminare nell’acqua e fare uno dei tanti sport che si praticano d’estate in acqua, sono attività che riattivano la circolazione preservando la salute delle gambe;
– ad aerobica e step, meglio preferire una ginnastica leggera e a corpo libero;
– in caso di cellulite o di ipodermite delle gambe, si potrebbe ricorrere all’endermologie LPG, al drenaggio linfatico, o alla pressoterapia;
– quanto alla depilazione, meglio evitare le cerette a caldo che possono favorire la comparsa di capillari e dunque di vene varicose.
Avere cura della salute delle gambe non è poi così difficile e, il modo giusto per evitare capillari e vene varicose è prevenirle correggendo abitudini e atteggiamenti sbagliati.
Malattia Venosa e Trombosi
La malattia venosa interessa oltre il 50% della popolazione e ne sono colpite prevalentemente le donne.
La malattia venosa va dalle più comuni forme di inestetismo rappresentate da varicosità tronculari, reticolari, teleangectasie fino alle vene varicose; queste ultime si complicano spesso con trombosi e ulcere. La trombosi venosa profonda e l’embolia polmonare rappresentano le forme più gravi della malattia venosa. Quindi un panorama molto vasto di patologie, alcune con un significato prevalentemente benigno altre che possono complicarsi con una mortalità ancora molto elevata se pensiamo che ad oggi oltre 20.000 pazienti muoiono ogni anno per embolia polmonare.
In particolare la gravidanza è ancora molto segnata da una elevata mortalità per embolia polmonare.
Le vene varicose, la cui etiopatogenesi è essenzialmente legata alla familiarità, possono complicarsi fino al 40% dei casi in trombosi venose superficiali e/o profonde ma in molti casi è determinante la presenza di trombofilie.
Con questo termine intendiamo la predisposizione allo sviluppo di patologie trombotiche dovute ad anomalie congenite o acquisite della coagulazione. Negli ultimi anni sono state identificate molte alterazioni trombofiliche ciascuna con una importanza diversa per quanto riguarda la genesi dell’evento trombotico. È quindi, oggi, opportuno di fronte ad una situazione di trombosi accertata o di rischio rappresentato da un intervento chirurgico (ortopedico, addominale, neurochirurgico, ginecologico) approfondire l’aspetto coagulativo per poter predisporre la terapia o la prevenzione più opportuna.
Anche l’uso degli estro-progestinici, frequentemente responsabili di trombosi o embolie polmonari in giovani donne, dovrebbero suggerire uno studio più approfondito della coagulazione non limitato esclusivamente all’emocromo, Pt, Ptt, INR, Fibrinogeno e ATIII ma andrebbero controllate anche l’omocisteinemia, LAC, Resistenza alla proteina C attivata, proteina S plasmatica e proteina C plasmatica. Una particolare attenzione deve essere dedicata alle trombosi venose superficiali su “vena sana” e alle trombosi venose profonde senza concause.
In questi casi, un tempo inspiegabili, si è identificato nel 40% dei casi una trombofilia ereditaria; in altri casi l’attenzione deve essere posta alla trombosi come spia di una malattia insorgente o di una neoplasia in atto.
Le trombofilie ereditarie possono essere causate da difetto delle proteine anticoagulanti, proteina C plasmatica e proteina S plasmatica, e mutazioni “gain of function”, con conseguente incremento dei livelli plasmatici o della funzione dei fattori V (FV G1691A Leiden) e II (FII G20210A) della coagulazione.
I difetti degli inibitori fisiologici della coagulazione e le forme omozigoti del fattore V Leiden e del polimorfismo G20210A della protrombina sono universalmente considerati difetti trombofilici “gravi”, poiché determinano un notevole incremento, da 4 a 30 volte, del rischio di episodi di trombosi, spesso idiopatici, ricorrenti e in giovane età (entro i 30 anni).
Viceversa, i soggetti con eterozigosi del fattore V Leiden o del polimorfismo G20210A della protrombina hanno un incremento da 2 a 7 volte del rischio di TEV rispetto alla popolazione generale e tendono a manifestare gli episodi in età più avanzata (mediana 40 anni).
Il difetto di antitrombina rappresenta, senza dubbio, la trombofilia ereditaria più severa, poiché comporta un incremento di oltre 50 volte del rischio di TEV ma e’ anche la più rara.
Tra le trombofilie acquisite sono da annoverare gli anticorpi anti-fosfolipidi (lupus anticoagulant-LAC, anticardiolipina, cioè anticorpi diretti contro vari tipi di proteine.
Il riscontro di almeno uno di questi anticorpi nel plasma del paziente, confermato a distanza di 12 settimane, in associazione a trombosi venosa o arteriosa o a complicanze ostetriche, configura il quadro della sindrome da anticorpi antifosfolipidi.
Tra le trombofilie a componente mista, sia congenita che acquisita, l’iperomocisteinemia può conseguire sia a mutazioni degli enzimi del metabolismo dell’omocisteina, aminoacido derivato dalla metionina, che a cause ambientali. Queste ultime sono tutte le condizioni che comportano una riduzione dei livelli ematici delle vitamine B6 e B12 e dell’acido folico, cofattori del metabolismo dell’omocisteina. Livelli aumentati di omocisteina si associano anche a insufficienza renale, ipotiroidismo, diabete, abitudine al fumo, uso di alcuni farmaci. La mutazione genetica più frequente è la variante del gene della metilentetraidrofolato reduttasi (MTHFR) che comporta un aumento modesto dei livelli di omocisteina.
La prevalenza di questa variante, trasmessa in forma autosomica recessiva, è stata stimata pari al 30-40% della popolazione generale italiana. Si tratta,comunque, di un blando fattore di rischio trombofilico (incremento di 1.5 volte del rischio di TEV). Per questo motivo non se ne consiglia la valutazione in clinica al di fuori del contesto della ricerca scientifica.
Infine, è stata dimostrata in più occasioni un’associazione tra elevati livelli ematici di alcuni fattori della coagulazione, in particolare il fattore VIII, ed un modesto aumento del rischio di TEV. I livelli dei fattori della coagulazione sono sia influenzati da condizioni ambientali (come la flogosi), che determinati geneticamente anche se, ad oggi, non sono state individuate mutazioni genetiche in grado di causare incrementi delle loro concentrazioni plasmatiche.
I test funzionali per trombofilia possono risultare alterati durante la fase acuta dell’evento trombotico, in corso di terapia anticoagulante (sia orale che parenterale), durante la terapia estro-progestinica, durante la gravidanza, in corso di gravi epatopatie, di sindrome nefrosica o coagulazione intravascolare disseminata. Pertanto, eventuali risultati alterati, ottenuti in queste condizioni, non potrebbero essere ritenuti attendibili, comporterebbero errori diagnostici e quindi andrebbero comunque ripetuti. Viceversa, possono essere sempre eseguiti i test genetici e la ricerca degli anticorpi antifosfolipidi.
Ad oggi, non esiste un consenso unanime circa le situazioni in cui sia utile sottoporre i pazienti a screening per trombofilia. Tuttavia, appare evidente come uno screening indiscriminato in tutti i pazienti con flebopatia o esposti a situazioni a rischio (come un intervento chirurgico, la gravidanza o la terapia estro-progestinica) non sia di alcuna utilità, ma, anzi, possa, in qualche caso, risultare controproducente. Sappiamo inoltre che uno screening è utile solo se i risultati ottenuti permettono di modificare le nostre scelte terapeutiche nei confronti del paziente che viene esaminato.
Pertanto, nella fase acuta dell’evento trombotico, non è indicato sottoporre il paziente a screening per trombofilia in quanto, come suggerito dalle linee guida, è necessario intraprendere una terapia anticoagulante indipendentemente dalla presenza o meno, in quel paziente, di anomalie trombofiliche. Semmai, un discorso a parte merita il deficit di antitrombina, l’unica trombofilia che, seppur molto rara, andrebbe esclusa quanto prima poiché può comportare una resistenza del paziente al trattamento anticoagulante con eparina, con peggioramento del quadro clinico.
Superata la fase acuta dell’evento (almeno 3 mesi), occorre determinare la durata della terapia anticoagulante bilanciando il rischio di recidiva di TEV con quello di complicanze emorragiche. In caso di TEV secondario a fattore di rischio transitorio è ragionevole sospendere l’anti-coagulazione, senza, anche in questo caso, sottoporre il paziente ad ulteriori indagini di laboratorio.
Ma in caso di TEV idiopatico, la presenza di un’alterazione trombofilica può aumentare il rischio di recidiva al punto di modificare la nostra gestione ed indurci a proseguire l’anticoagulazione sine die? Per rispondere a questo interrogativo, sono stati condotti diversi studi prospettici e metanalisi, con risultati talora contrastanti ma che, in generale, hanno smentito un eventuale ruolo della trombofilia nell’individuare i pazienti con un rischio di recidiva abbastanza elevato da giustificare una terapia anticoagulante prolungata. Diverso è il caso degli anticorpi anti-fosfolipidi, il cui reperto, se confermato, configura il quadro clinico della sindrome da anticorpi antifosfolipidi per cui è indicata un’anti-coagulazione a lungo termine.
Può invece risultare utile effettuare uno screening per trombofilia in caso di trombosi idiopatiche insorte in età giovanile, specie se recidivanti, o in sedi non usuali, o in corso di gravidanza, o in donne che fanno uso di contraccettivi orali o terapia ormonale sostitutiva o, in caso di TVS su vena sana. In tutte queste condizioni cliniche, il reperto di un’anomalia trombofilica, ad eccezione, di nuovo, degli anticorpi anti-fosfolipidi, non modifica l’iter terapeutico ma può contribuire a dare una spiegazione eziologica all’evento e magari indurre ad estendere la ricerca, in caso di riscontro di anomalie trombofiliche gravi, ai familiari del paziente.
Inoltre, va tenuto presente che interpretare i risultati dei test di screening per trombofilia in modo isolato costituisce un errore in quanto l’evento trombotico ha una patogenesi multifattoriale: la trombofilia, sia essa genetica che acquisita, rappresenta solo uno dei protagonisti del complesso scenario in cui si sviluppano le flebopatie.
Nuovi anticoagulanti orali: progressi e limitazioni nel mondo reale
I benefici dei nuovi anticoagulanti orali
Il gruppo dei nuovi anticoagulanti orali diretti (DOAC), con i loro risultati favorevoli negli studi clinici di fase III su vasta scala, rappresenta un progresso fondamentale ed ha espanso l’arsenale della terapia anti-trombotica. Dabigatran, Rivaroxaban, Apixaban ed Edoxaban vengono ora impiegati di routine per prevenzione e trattamento delle patologie trombotiche venose ed arteriose proprio come negli studi clinici.
Ci si attende che l’impiego dei DOAC si incrementi sia con l’esperienza dei medici nella loro gestione, sia con i dati derivanti dagli studi nel mondo reale, che in genere sono coerenti con gli studi clinici. Lo sviluppo di antidoti specifici per la gestione delle complicazioni emorragiche e quello di esami della coagulazione per il livello plasmatico dei anticoagulanti orali rafforzeranno ulteriormente la fiducia che si ripone in questi farmaci, ma sussistono ancora limitazioni ad essi associate.
Quali sono le limitazioni dei farmaci anticoagulanti?
Molti pazienti che necessitano di terapie anticoagulanti per indicazioni non studiate nelle indagini cliniche non vengono considerati candidati ai DOAC. Le aree in cui sono necessari altri dati comprendono l’uso pediatrico dei DOAC, i pazienti con fibrillazione atriale e cardiopatie valvolari, le trombosi associate a sindromi antifosfolipidi e quelle associate ai tumori.
I costi economici e l’accesso a questi farmaci anticoagulanti potrebbero rappresentare un problema per molti pazienti sotto sistemi sanitari che non li forniscono. Dato che quattro nuovi anticoagulanti orali stanno uscendo rapidamente sul mercato, l’attenzione è stata spostata sull’approccio pratico e sulla gestione nella vita reale, dato che molti medici non hanno ancora familiarità con l’uso dei DOAC.
I medici devono essere educati sul modo di gestire questa nuova classe di farmaci, a partire dalla scelta del farmaco appropriato per gestire sia la prevenzione che le complicazioni emorragiche, dato che una carenza di comprensione e conoscenze porterebbe ad un impiego inappropriato dei farmaci stessi e comprometterebbe la sicurezza del paziente. (Thromb J. 2016; 14 (Suppl 1): 17. eCollection 2016).