Rivascolarizzazione degli Arti
L’esigenza di salvare un arto è particolarmente sentita nei pazienti affetti da ischemia critica, condizione nella quale l’arto non risponde più alle terapie mediche e alle terapie conservative. Un arto affetto da mancanza di circolazione deve essere necessariamente amputato se non si interviene con un gesto terapeutico per evitare questa conseguenza.
Il numero delle amputazioni di coscia e di gamba si è mantenuto costante negli ultimi anni cioè intorno ai 5500 operazioni per anno negli ultimi 10 anni nonostante lo sviluppo enorme della terapia endovascolare, addirittura per fascia di età al di sopra dei 70 anni arrivano al 2×1000 l’anno. L’ischemia critica viene trattata con tecniche endovascolari, cioè con la tecnica della dilatazione attraverso il palloncino ovvero con l’angioplastica percutanea, in maniera poco invasiva, e questo ha successo circa nell’85% circa dei casi, anche se la tecnica ha talvolta risultati effimeri e quindi necessita di essere ripetuta nel tempo.
Accanto a questo purtroppo c’è un 15% circa di pazienti che, per il carattere eccessivamente avanzato della malattia, non beneficiano adeguatamente della terapia endovascolare; per questi rimane aperta l’opzione della chirurgia aperta, quindi sono questi i pazienti più a rischio e più difficili da trattare e che pongono anche maggiori problemi tecnici. In questi casi la posta in gioco è molto alta perché in un paziente affetto da ischemia critica si possono verificare anche delle piccole gangrene alle estremità degli arti, e queste sono lesioni estremamente dolorose e sono delle porte aperte all’infezione cronica.
Quando questo avviene in un paziente diabetico questa infezione determina un grave scompenso della glicemia e quindi una serie di turbe metaboliche per cui la mancata risoluzione al problema porta poi una parabola discendente che, se da una parte può portare l’amputazione, dall’altra parte può portare ad una serie di conseguenze che poi incidono sulla mortalità del paziente. Trattando dei pazienti con maggiore rischio, quindi pazienti con lesioni più estese, come lesioni gangrenose parcellari più avanzate,la soluzione sarebbe optare per la chirurgia aperta.
Quest’ultima si è modificata molto negli ultimi decenni evolvendo verso una chirurgia estrema cioè una chirurgia di rivascolarizzazione anche delle arterie al di sotto della caviglia e le arterie del piede. Con queste tecniche all’avanguardia si riesce ad effettuare una rivascolarizzazione diretta con by-pass, i quali possono essere perfezionati solo tramite l’utilizzo di vene autologhe. Principalmente viene usata la vena safena; quando questa manca si utilizza la piccola safena o le vene degli arti superiori anche in combinazione con dei segmenti per dei bypass più lunghi.
Le percentuali di successo di queste operazioni, in mani esperte, sono superiori al 90%, ma si tratta di operazioni molto complicate che necessitano di una lunga curva di apprendimento. I risultati a distanza sono gratificanti in un certo senso perché mentre la sopravvivenza a 5 anni della popolazione non trattata è praticamente al di sotto del 20%, proprio per il carattere particolarmente grave della condizione, una popolazione normalmente trattata ma solamente con terapia endovascolare la sopravvivenza è intorno al 38% a 5 anni.
Quando si fa buon uso di tutte le tecniche, riservando al terapia endovascolare in pazienti che possono beneficiarne di più, e riservando la terapia chirurgica aperta a coloro che sono al di la delle possibilità dell’endovascolare, la sopravvivenza diventa quasi raddoppiata arrivando a superare il 60% a 5 anni. Per cui si consiglia, in pazienti affetti da questa patologia che può portare anche alla morte, di aggiornarsi sempre sulle nuove tecniche sperimentate da grandi medici, e di non perdere mai la speranza di guarigione.
Riassunto dell’intervista al Dott. Francesco Spinelli
L’artrite si cura nel piatto
Nonostante la mole di lavori scientifici che stanno confermando i legami tra alimentazione e le varie forme di artrite (Artrite reumatoide, Artrite reattiva, Artrite psoriasica) sono ancora poche le strutture che propongono specifici cambi alimentari per controllare dolore e infiammazione e aiutare chi ne soffre a recuperare il proprio stato di benessere in modo naturale.
Il legame tra alimentazione e artrite
Ci sono due aspetti che legano il cibo e l’infiammazione. Il primo dipende dalle citochine del sistema immunitario stimolate dall’ingestione di un cibo che genera una infiammazione alimentare. È legato all’innalzamento dei livelli di Baff, di Paf e di altre citochine, che come descritto da Cheng (1) sono in grado di attivare una risposta autoimmunitaria nell’organismo. Si tratta del meccanismo che molti identificavano con il nome ormai obsoleto e ascientifico di “intolleranze alimentari“. Il secondo dipende invece dalle adipochine prodotte dalle cellule del tessuto adiposo come risposta alla particolare modalità alimentare, ad esempio dalla dominanza di assunzione di carboidrati rispetto alle proteine (con produzione di visfatina), dal digiuno prolungato (con produzione di resistina) e dal mancato rispetto del fisiologico timing alimentare (in assenza di prima colazione ad esempio la leptina non viene prodotta). Grazie a queste nuove conoscenze è possibile affrontare ogni caso di artrite, anche quando ci sia una forte componente autoimmunitaria, partendo dallo studio dell’infiammazione da cibo, del Profilo Alimentare personale e impostando una proposta nutrizionale individualizzata adatta a ridurre i livelli di infiammazione locali e sistemici.
Oltre al primo importante lavoro di Francisca Lago (2), anche le ricerche di Conde (3), pubblicate su Discovery Medicine, hanno considerato gli effetti di induzione dell’artrite legati alla scorretta distribuzione di proteine e carboidrati all’interno dei singoli pasti. La ricerca scientifica sta infatti confermando oggi il fondamentale impatto delle adipochine nella genesi dell’infiammazione articolare e dei fenomeni dolorosi che ne sono correlati.
Il sistema alimentare che spesso consiglio ai nostri pazienti, a partire dalla ricca prima colazione, mira specificamente a controllare e orientare la produzione delle adipochine rilasciate dal tessuto adiposo, e a ridurre la produzione di Baff (B Cell Activating Factor) che, grazie agli studi di Lied (4) spiega tutti i sintomi infiammatori che usualmente sono ascritti al cibo.
Attilio Speciani
Per approfondimenti:
1) Chen M et al, Cytokine Growth Factor Rev. 2014 Jun;25(3):301-5. Epub 2013 Dec 24.
2) Lago F et al, Nat Clin Pract Rheumatol. 2007; 3(12):716-724
3) Conde J et al, Discov Med. 2013 Feb;15(81):73-83
4) Lied GA et al, Aliment Pharmacol Ther. 2010 Jul;32(1):66-73. Epub 2010 Mar 26
Articolo Pubblicato da Nutrizione 33
Il piede “organo di senso”
Dal modo in cui camminiamo dipende la salute delle nostre gambe e non solo.
Il piede oggi è considerato un “organo di senso” in quanto, prelevando le informazioni dal suolo, informa il sistema nervoso centrale della nostra posizione nello spazio insieme ad occhi ed orecchio interno.
Uno squilibrio nella funzione di tali strutture può avere influenze sul sistema veno-linfatico aggravando patologie venose, o alterando l’ergonomia del nostro modo di muoverci causando mal di schiena dolori cervicali, instabilità, cefalee, gonfiori e dolore alle gambe, vertigini.
L’osservazione postulare con test clinici specifici è l’arma fondamentale per la diagnosi dei disturbi posturali, mettendo in relazione struttura e funzione anche di distretti corporei distanti tra loro, esempio scapole alate e piede piatto, piede valgo, asimmetrie del bacino eccetera.
Tali disturbi se intercettati in età giovanile ci permettono di fare prevenzione primaria, evitare cioè che alcune patologie insorgano (ad esempio: mal di schiena in età adulta).
Fin dalla nascita, il nostro cervello memorizza gli errori gli del sistema posturale come riferimenti di normalità, per cui non possono correggersi da soli. La possibilità di modificarli è uno strumento cruciale sia per la prevenzione che per la cura.
In tutti questi casi è necessaria un’attenta valutazione funzionale del posturologo per scoprire se alla base dei sintomi ci sono limiti meccanici causati da un’articolazione bloccata, non corretto bilanciamento del baricentro, un imbrigliamento di vene e linfatici nelle strutture anatomiche che attraversano i “cosiddetti forami di congiunzione”.
Le terapie utilizzate dal posturologo sono di tipo manuale (osteopatiche) e recettoriali (plantari propiocettivi, bite, trattamento delle cicatrici). Le terapie osteopatiche si basano sul contatto manuale sia per la valutazione che per la cura. Rispettano la relazione tra corpo, mente e spirito nella salute e nella malattia, con particolare attenzione all’integrità strutturale e funzionale dal corpo e dalla sua tendenza intrinseca all’auto-guarigione.
I plantari propiocettivi sono ortesi con stimolazione molto piccole al di sotto dei tre mm posizionate in punti specifici del piede, queste stimolazioni hanno un grande effetto sul tono neuromuscolare tale da correggere difetti posturali anche distanti dal segmento al quale vengono applicate.
I plantari propiocettivi vengono utilizzati per ridurre mal di schiena, dolori cervicali per cefalee muscolo tensive, per disturbi posturali e dell’equilibrio, vertigini in stabilità, problematiche plantari, ecc.
La valutazione e il trattamento posturale hanno lo scopo di migliorare le prestazioni nello sportivo, risolvere le cause del dolore evitando l’uso dei farmaci, fare prevenzione per evitare traumi.
di Annamaria Esposito e Giacomo Notaro
Manteniamo in forma le gambe
Trascorriamo ore seduti al volante, in autobus, in metropolitana, in ufficio, camminiamo poco, facciamo scarsa attività fisica. Ciò crea una serie di problemi alle nostre gambe: problemi di circolazione, problemi alle vene.
– E’ vero che circa la metà della popolazione soffre di malattia venosa agli arti inferiori?
I dati più recenti parlano di oltre il 50% della popolazione affetto da malattia venosa, dalla forma più lieve alle complicanze gravi; questo significa che ad ogni persona sana corrisponde una persona con malattia venosa. Responsabile di ciò è soprattutto il fattore familiarità (oltre l’ottanta per cento); altre cause sono la sedentarietà e l’obesità. L’aumento notevole di pazienti affetti da malattia venosa sembrerebbe, infatti, particolarmente legato all’alimentazione, alla scarsa attività fisica e all’aumento, riscontrato negli ultimi anni, alle temperature ambientali. La deambulazione – una bella camminata quotidiana – riduce drasticamente lo sviluppo della malattia venosa e può servire sicuramente a scongiurarne le complicanze. Camminare mette in moto un complesso sistema che favorisce il ritorno venoso ed è per questo motivo che sollecitiamo continuamente i nostri pazienti ad una costante attività fisica.
– Le donne sono più soggette degli uomini alla malattia venosa?
Le donne sono interessate al problema in una misura che è circa due volte maggiore rispetto agli uomini. L’influenza degli estrogeni e del progesterone gioca un ruolo molto importante nella genesi della malattia venosa tant’è che alcune forme come le teleangectasie, ovvero l’aumento delle dimensioni e del numero dei piccoli vasi sanguigni – i capillari – con successivo arrossamento della pelle soprattutto sul naso e sulle guance, sono caratteristica quasi esclusiva del sesso femminile. Anche la gravidanza rappresenta un momento ad alto rischio di malattia venosa proprio per lo scompaginamento creato dal torrente in piena degli ormoni.
– Professor Scaramuzzino, in che cosa consiste la malattia venosa e quali sono i suoi diversi aspetti?
Si va dalle banali teleangectasie che rappresentano più un problema estetico, alle forme complicate di tromboflebiti e trombosi venosa profonda, passando attraverso la malattia varicosa e terminando con la sindrome post flebitica e i suoi vari quadri ulcerativi.
– Quali sono i sintomi?
Edema, senso di pesantezza, prurito, gambe stanche, calore: questi sono i primi sintomi che con il tempo tendono ad accentuarsi e ad aggravarsi; inizialmente possiamo avere dei segni scarsi, dei piccoli rigonfiamenti o dei cordoncini verdastri poco significativi che con il tempo tendono ad aumentare; il soprappeso, la sedentarietà, le gravidanze aggravano queste condizioni iniziali e portano rapidamente ad un peggioramento dei segni e dei sintomi.
– Si può fare prevenzione? A quale età bisogna cominciare?
La prevenzione riduce significativamente la progressione della malattia venosa ed è per questo motivo che le istituzioni rappresentate dal Collegio Italiano di Flebologia si muovono da molti anni per stimolare sempre di più medici e pazienti verso una attiva prevenzione. Non c’è un’età precisa per iniziare la prevenzione: fin da bambini è opportuno controllare un eventuale soprappeso e la postura. La prevenzione dovrebbe essere più attenta quando è presente una familiarità per la malattia venosa o per le tromboflebiti. Negli ultimi anni sono stati individuati esami della coagulazione che possono avere un significato importante nella prevenzione delle tromboflebiti e degli incidenti vascolari ischemici cardiaci e cerebrali.
– Quando il problema si manifesta a quale specialista bisogna rivolgersi?
Lo specialista più indicato per la gestione della malattia venosa è attualmente il flebologo, una figura emersa nel corso degli ultimi vent’anni con una specifica esperienza in questo campo. Anche gli angiologi ed i chirurghi vascolari possono gestire eccellentemente la malattia venosa. E’ necessaria sempre una buona esperienza e una organizzazione di alto livello anche di tipo tecnologico.
– Qual è la terapia più adatta?
Non esiste la terapia più adatta: ciascuna forma può richiedere un trattamento diverso o più trattamenti diversi in tempi diversi. E’ ciò che succede, per esempio, quando sottoponiamo un paziente ad un intervento chirurgico e completiamo successivamente con il laser e la scleroterapia. Anche la terapia medica (flebotonici, integratori fitoterapici per le gambe, eparina, eccetera) svolge un ruolo chiave sia nella prevenzione della malattia venosa che nel trattamento delle complicanze.
– Professore, quando si deve intervenire chirurgicamente?
L’intervento chirurgico è riservato a casi particolari rappresentati dalle varici e dalle ulcere. Tale intervento può essere, oggi, di tipo conservativo: non vengono più asportate le vene malate, ma si corregge il sistema emodinamico per ridurre la pressione all’interno e quindi “sgonfiare” le vene stesse. Ovviamente non è sempre possibile utilizzare metodiche conservative; molte volte è ancora necessario asportare qualche tratto di vena. Da qualche anno anche il laser ci è di aiuto per risolvere la malattia varicosa; attraverso un minuscolo catetere introdotto nella vena in anestesia locale possiamo intervenire su una safena – che è una grossa vena superficiale – dilatata ed incontinente. Non esiste una tecnica migliore di un’altra: ottimi risultati si ottengono in flebologia attraverso l’integrazione delle metodiche.
– Quali sono le tecniche più recenti adatte a risolvere i problemi causati dalla malattia venosa?
Prima ancora di agire sulle vene è necessario migliorare la postura del paziente. Il ritorno del sangue venoso al cuore è garantito proprio da un complesso sistema di pompe che partono dal piede; se la postura è scorretta il ritorno venoso entrerà in crisi e la malattia venosa potrà peggiorare. Ecco perché la visita flebologica deve comprendere necessariamente e contemporaneamente un controllo posturale.
Oltre il 50% della popolazione italiana presenta i segni della malattia venosa dalla forma più lieve fino alle situazioni più complicate.
Edema, senso di peso alle gambe, teleangectasie, varicosità reticolari sono i primi segni di malattia che se trascurata può evolvere verso la malattia varicosa, la tromboflebite, le ulcere; la prevenzione rappresenta uno degli impegni principali del flebologo anche in considerazione del costo economico e sociale che rappresenta la malattia venosa con le sue complicanze.
20.000 morti l’anno in Italia per embolia polmonare, prima causa di morte in gravidanza; 6000 pazienti (quanti ne muoiono ogni anno per carcinoma mammario) potrebbero essere salvati attraverso una più incisiva prevenzione.
Dieci consigli per mantenere in forma le nostre gambe
1) CAMMINARE
La regola fondamentale per la buona salute delle gambe è quella di tenerle in movimento. Camminare, salire e scendere le scale, fare esercizi di flesso-estensione degli arti inferiori serve a tonificare i muscoli, mantenere solide le microstrutture ossee, stimolare l’apporto arterioso, e soprattutto, per favorire il ritorno del sangue verso il cuore.
2) SOVRAPPESO
L’obesità contribuisce alla comparsa ed al peggioramento delle varici, favorisce il gonfiore delle gambe, la sensazione di pesantezza agli arti inferiori e accentua i dolori artrosici del piede del ginocchio e dell’anca. E’ importante controllare l’apporto calorico, evitare cibi grassi, fritture ed insaccati.
3) IGIENE PERSONALE
Evitare i pediluvi e i bagni d’acqua calda, l’esposizione ravvicinata a qualsiasi fonte di calore come termosifoni, stufe, camini e borse d’acqua calda.
Evitare saune, bagni turchi, fanghi e sabbiature. Assolutamente sconsigliate le cerette a caldo!!
4) DORMIRE
In posizione distesa, soprattutto durante il sonno, gli arti inferiori devono rimanere sollevati di 7/8 cm. La soluzione più semplice è quella di mettere degli spessori sotto ai piedi del letto (un paio di grossi libri, due mattoni…).
Durante periodi di lunga immobilità a letto è consigliabile muovere ripetutamente gli arti inferiori, soprattutto con movimenti di flesso-estensione dei piedi sulle gambe, facendo profonde e frequenti ispirazioni.
5) ABBIGLIAMENTO
Indossare vestiti comodi, freschi e leggeri evitando i jeans “attillati”.
Evitare le panciere, i cinti erniarie ed ogni tipo di compressione. Sconsigliate sono anche le giarrettiere che possono creare un ostacolo al deflusso venoso.
6) CALZATURE
Un corretto appoggio della pianta del piede e’ fondamentale per il buon funzionamento della pompa venosa. In caso di piede piatto, ad esempio, l’appoggio può essere ottimizzato con un plantare adeguato; anche una scarpa comoda a pianta larga può influire positivamente sul ritorno venoso.
Evitare scarpe strette o a punta; e’ consigliabile un tacco di circa 4-5 cm. Meglio se a base larga e in cuoio per favorire la traspirazione.
Evitare l’uso di stivali che comprimono o fanno sudare piedi e gambe.
7) VIAGGI
Per i piccoli spostamenti è sempre meglio rinunciare alla comodità dei mezzi di trasporto.
Durante i viaggi in automobile accomodarsi sul sedile posteriore, allungando le gambe e cercando di scendere ogni paio di ore per una breve passeggiata.
Durante i viaggi in treno tenere le gambe rialzate e alzarsi spesso per camminare.
8) VACANZE
Preferire climi freschi e secchi come quelli di montagna.
D’estate bagnarsi le gambe con frequenti docce fredde.
Al mare evitare di esporre le gambe al sole soprattutto durante le ore calde.
Particolarmente consigliato è il camminare nell’acqua del mare con il corpo immerso fino al bacino.
9) ATTIVITÀ FISICA
La parola d’ordine della prevenzione delle varici degli arti inferiori è quella di combattere la vita sedentaria.
È sconsigliato, quindi, stare a lungo in piedi fermi.
Quando si svolge un’attività lavorativa che obbliga a stare a lungo in piedi nella stessa posizione è consigliabile utilizzare delle calze elastiche e sollevarsi spesso sulla punta dei piedi in modo da favorire il ritorno venoso.
Evitare di accavallare le gambe.
Il nuoto è lo sport di elezione per i flebopatici. Altri sport da scegliere sono tutti quelli che si basano sulla ginnastica dolce come la marcia o la bicicletta.
Sono sconsigliati gli sport che impegnano le gambe con violenza.
10) POSTURA
Una postura scorretta può causare non solo problemi alla schiena ma anche alle gambe contribuendo a peggiorare la stasi venosa.
Intervista pubblicata da GD Tecnologie Interdisciplinari Farmaceutiche
Intervista a Lanfranco Scaramuzzino: Specialista in Chirurgia Vascolare a Napoli
Allarme vene? Il punto sulla situazione in Campania
“Le donne campane pensano di non trascurare le loro gambe e di essere sempre più attente alla prevenzione. Ma, come gli uomini, si preoccupano principalmente dell’aspetto estetico – parla il professore Lanfranco Scaramuzzino, Specialista in Chirurgia Vascolare a Napoli e Professore a contratto alla Scuola di Specializzazione dell’Università “Magna Graecia”-. È difficile convincerli a modificare lo stile di vita, cominciando dall’alimentazione e dalla sedentarietà e questo perché ritengono la malattia venosa solo un problema estetico di semplice risoluzione ignorando, invece, quanto serie e pericolose possano essere le complicanze”.
“Ritenere le malattie venose poco importanti – continua Lanfranco Scaramuzzino – se non addirittura solo “inestetismi”, è un grave errore da parte dei pazienti, così come interrompere le terapie. E per evitare questi errati comportamenti è importante che ben comprendano la serietà della situazione e quanto sia importante che le cure vengano effettuate in modo costante e continuato per evitare le complicanze. Le terapie farmacologiche sono efficaci, penso innanzitutto ai flavonoidi micronizzati, e in molti casi possono evitare al paziente di avere maggiori complicazioni e di dover ricorrere, infine, alle cure del chirurgo.
Quando parliamo di complicanze parliamo anche di tromboembolia polmonare che ogni anno provoca oltre 20.000 morti. Ci sono pazienti con situazioni venose gravi per i quali questi farmaci possono essere considerati addirittura dei salvavita. Si tratta, spesso, di pazienti anziani per i quali l’intervento chirurgico non sempre è possibile, e per i quali i costi della terapia sono davvero difficili da sostenere”.
Intervista pubblicata da Italia Salute
Rischio trombotico nel paziente flebopatico: prevalenza, inquadramento clinico e approccio terapeutico
L’insufficienza venosa cronica costituisce una condizione clinica molto rilevante sul piano epidemiologico, socio-sanitario e sulla qualità di vita dei pazienti a causa degli elevati tassi di incidenza, prevalenza, morbilità e complicanze. Dal punto di vista epidemiologico, la patologia venosa viene riscontrata nel 50% (Fig.1) della popolazione italiana, se si considerano tutte i quadri clinici, dalle forme più lievi alla trombosi venosa grave (Figg. 2-7). Il sesso femminile è inoltre colpito con una frequenza doppia rispetto a quello maschile.
La definizione e la classificazione delle patologie venose riscontrate in ambito clinico sono spesso eterogenee e influenzate dalla tipologia di valutazione dei segni e dei sintomi manifestati dai pazienti. Ai fini di risolvere tale eterogeneità, nel 1994 una commissione costituita da specialisti provenienti da differenti nazioni, ha ipotizzato e realizzato un sistema classificativo innovativo con l’obiettivo di definire una nuova modalità standardizzata di valutazione delle flebopatie. Tale sistema è stato denominato CEAP, in quanto si basa sui seguenti criteri: Clinici (C), Eziologici (E), Anatomici (A) e Fisiopatologici (P).
Una prima analisi del paziente deve essere effettuata per ricercare la presenza dei fattori che possono predisporre all’insorgenza della malattia venosa oppure che contribuiscono allo sviluppo di alcune complicanze quali la trombosi venosa superficiale (TVS), trombosi venosa profonda (TVP), embolia polmonare (EP) o ulcere (Tabb. I,II). Tra i fattori predisponenti un ruolo importante è svolto dalla familiarità. Sinora non è stata dimostrata una trasmissione genetica della patologia. La presenza di una predisposizione familiare si riscontra tuttavia nell’85% dei casi di varici agli arti inferiori; nel 22% dei casi la patologia insorge in pazienti che non riferiscono alcuna familiarità.
Come evidenziato nell’ambito di numerosi studi epidemiologici, l’incidenza delle varici sembrerebbe essere correlata con la gravidanza e con il numero dei parti espletati: da un’incidenza pari al 4-26%, riscontrata nelle donne nullipare, essa aumenta fino al 10-63% nelle donne che hanno avuto figli. Un ulteriore fattore clinico da prendere in considerazione è il peso corporeo. Infatti, i soggetti in sovrappeso, soprattutto se di sesso femminile e residenti in aree civilizzate, sono maggiormente affetti da IVC e da malattia varicosa rispetto a soggetti di peso normale: la prevalenza varia dal 25 ad oltre il 70% (in entrambi i sessi) nel primo gruppo rispetto al 16-45 % del secondo.
Le ulcere venose in fase attiva si riscontrano in circa lo 0,3% della popolazione adulta occidentale e con una prevalenza complessiva di ulcere attive e guarite pari all’1%; nel sottogruppo di soggetti con età superiore a 70 anni, la prevalenza di ulcere venose sale al 3%. Nell’ambito della patologia venosa, è inoltre importante valutare il rischio e gestire la possibile insorgenza di complicanze, quali la trombosi venosa, sia superficiale che profonda,e il tromboembolismo.
Che cos’è la tromboflebite superficiale?
Tra i fattori di rischio, la gravidanza rappresenta un fattore predisponente non solo alla TVP, come comunemente considerato, ma frequentemente anche alla tromboflebite superficiale.
Con una frequenza più rara, la tromboflebite superficiale può localizzarsi in altri distretti quali la vena toracica laterale (nella malattia di Mondor), la vena dorsale del pene, le vene dell’avambraccio (nelle tromboflebiti suppurative da cateterismo).
La tromboflebite superficiale, oltre a costituire una complicanza della patologia venosa, può insorgere anche su una vena precedentemente sana. Anche se la patologia viene considerata benigna, dalle evidenze pubblicate in letteratura emerge come l’evoluzione di una tromboflebite superficiale in trombosi venosa profonda e in embolia polmonare rappresenti una evenienza tutt’altro che rara.
Sulla base di queste considerazioni, si ritiene opportuno sostituire la terminologia “tromboflebite superficiale” a favore della definizione “trombosi venosa superficiale” (TVS) che meglio illustra la stretta correlazione esistente tra queste due condizioni.
Si calcola, infatti, che l’esistenza di una precedente TVS si associata a una probabilità di sviluppare una TVP oltre 4 volte superiore a quella osservabile nella popolazione normale (odd ratio 4,32; IC 1,76-10,61) (Tab. IV).
Come si sviluppa una trombosi venosa superficiale?
Dal punto di vista fisiopatogenetico, affinché si determini un evento tromboflebitico è necessaria l’attivazione del sistema emocoagulativo (Fig. 12) con successiva formazione del trombo. Nell’attivazione della coagulazione è necessario l’intervento di tre elementi, che agiscono da soli oppure in associazione (triade di Virchow):
- lesione endoteliale;
- stasi circolatoria;
- ipercoagulabilità ematica.
Il ruolo dell’ipercoagulabilità è sicuramente indiscusso nel caso di deficit congenito di antitrombina III e di proteina C. Studi recenti dimostrano, inoltre, che in molti casi di trombofilia a carattere familiare si può verificare una resistenza all’azione anticoagulante della proteina C attivata, dovuta a una mutazione del fattore V; in seguito a tale mutazione il fattore V, conserva le sue proprietà coagulanti ma è reso inattaccabile da parte della proteina C attivata. Nella tabella V, sono illustrate le principali condizioni, acquisite o geneticamente determinate, che comportano nell’organismo uno stato di trombofilia.
I momenti clinici della tromboflebite sono quindi caratterizzati dalla formazione del coagulo e dallo stato infiammatorio della parete della vena e dei tessuti circostanti. La patologia venosa trombotica può complicarsi e facilitare l’insorgenza della embolia polmonare: dal circolo superficiale infatti, i frammento del trombo possono passare al circolo profondo e successivamente, tramite le vene iliaca e cava, raggiungere la sezione destra del cuore e localizzarsi al distretto polmonare tramite l’arteria polmonare e i suoi rami. Le condizioni cliniche ed epidemiologiche che favoriscono il rischio di tromboembolismo sono molteplici e comprendono un pregresso episodio di tromboembolia venosa, l’immobilità prolungata, la presenza di neoplasie, un’età avanzata (>65 anni) e la presenza di vene varicose (Fig. 14).
La terapia della tromboflebite non può prescindere dal quadro eziopatogenetico e clinico. L’obiettivo primario del trattamento deve essere la riduzione di estensione del coagulo, la risoluzione dello stesso e il controllo dello stato infiammatorio. Andrà trattata o rimossa la noxa patogena causale (ormonale, settica, traumatica, altra patologia). La malattia varicosa, se responsabile della tromboflebite dovrà essere debitamente trattata con l’opportuna terapia chirurgica, la scleroterapica e la terapia elastocompressiva.
Per molto tempo la trombosi venosa superficiale è stata trattata con strategie differenti: antinfiammatori non steroidei in associazione con elastocompressione, cortisone nei casi più gravi, trombectomie nei pazienti con dolore intenso, stripping della safena o legatura della safena alla crosse nelle tromboflebiti ascendenti e molto vicine alla crosse per scongiurare una migrazione al profondo.
La somministrazione di antiflogistici non steroidei può avere un razionale in quanto questi farmaci attraverso la loro azione analgesica e antinfiammatoria possono accelerare il riassorbimento della flogosi perivenosa e ridurre quindi la sintomatologia del paziente; secondo alcuni autori inoltre vanno considerati gli importanti effetti antiaggreganti di questa categoria di farmaci.
Studi recenti hanno comparato l’uso di farmaci antitrombotici con la legatura safenica alla crosse nelle TVS senza TVP al fine di evitare l’insorgenza di complicazioni tromboemboliche. Il più importante tra questi è lo studio STENOX condotto su 427 pazienti, che ha preso in considerazione anche un gruppo di confronto trattato con placebo per una durata di 10 giorni e che ha dimostrato la superiorità dell’utilizzo di eparine a basso peso molecolare (LMWH), quali l’enoxaparina, somministrate a dosi profilattiche. Altri due importanti trial hanno comparato la LMWH con antinfiammatori non steroidei ed entrambi i risultati erano in favore delle LMWH.
Uno studio di Cospite et al., concludeva che il trattamento con sulodexide induce una costante, rapida e significativa remissione dei principali sintomi e segni delle patologie venose. Pinto inoltre ha posto a confronto due gruppi di 30 pazienti affetti da trombosi venose distali: un gruppo è stato trattato con sulodexide e l’altro con HMWH. Entrambi i trattamenti hanno mostrato un’efficace attività antitrombotica con riduzione dei livelli alterati di fibrinogeno e una rapida scomparsa dei sintomi e segni clinici della trombosi (arrossamento, ipertermia dolore ed edema) già dopo il decimo giorno di trattamento.
Tutti gli studi segnalano infine una maggiore tollerabilità del trattamento con sulodexide che viene somministrato per via orale.
Il sulodexide risulta quindi ideale, oltre che nel trattamento a medio e lungo termine della TVS, anche nel prevenire episodi di trombosi venosa superficiale nei pazienti affetti da vene varicose e nel ridurre la ricorrenza degli episodi trombotici.
Bibliografia:
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Intervento alle varici: le tecniche per combattere le vene varicose
Diagnosi delle vene varicose
Prima ancora di decidere come intervenire chirurgicamente, è necessario fare un’accurata diagnosi per definire la tipologia d’intervento alle varici più adatta al singolo caso. Innanzitutto, non si può prescindere da un accurato studio clinico ed emodinamico. Gli ultrasuoni consentono, oggi, di poter studiare con chiarezza tutto il sistema venoso degli arti inferiori potendo determinare con assoluta certezza reflussi, dilatazioni, ostruzioni; a differenza del passato è ora possibile programmare prima l’intervento alle varici che vogliamo realizzare, possiamo prevedere con maggiore attendibilità i risultati che potremmo ottenere, il tutto con una invasività molto ridotta e con migliori risultati anche dal punto di vista estetico. Sì, perché le vene varicose molto spesso sono percepite come un inestetismo prima ancora che come una patologia. Terminata la diagnosi, una mappa pre-operatoria ben strutturata permette inoltre di realizzare anche gli interventi più complicati in anestesia locale, senza degenza e con minori rischi.
Come si effettua un’intervento alle varici
Fermo restando che non esistono dei parametri che possano definire in quale caso usare una tecnica ed in quale caso usarne un’altra, e che la scelta della tipologia d’intervento alle varici deve essere affidata all’esperienza del chirurgo e al quadro clinico, si può dire che le vene varicose non sono tutte uguali, per questo, dopo la diagnosi, bisogna valutare qual è l’operazione chirurgica più adatta al caso. L’intervento alle varici si può effettuare con diverse metodologie, in alcuni casi trova un’indicazione chiara e certa, in altri l’indicazione può essere più discutibile.
Tra le tecniche maggiormente utilizzate ci sono lo stripping ideato da Rima – Trendelemburg, poi una tecnica di flebectomia per mini-incisioni presentata da Robert Muller nel 1966 che ha avuto un gran successo per le caratteristiche di ambulatorialità e per i buoni risultati estetici e funzionali; e infine la CHIVA, un’innovativa tecnica conservativa e ambulatoriale per il trattamento delle vene varicose realizzata Claude Franceschi nel 1988. Ci sono voluti quasi dieci anni perché questa ultima tipologia di intervento alle varici venisse accettata ed è attualmente utilizzata con successo da molti centri nazionali e internazionali.
L’intervento alle varici più indicato nel caso di telangectasia, per esempio,è la flebectomia per mini-incisioni ideata da Muller, questa tecnica potrebbe infatti trovare una indicazione per eliminare il vaso afferente principale. In realtà, nella maggior parte dei casi, per abolire il vaso principale è sufficiente la scleroterapia che permette in questi casi anche migliori risultati estetici. Nel caso di varici tronculari e reticolari, si ricorre quasi sempre a un intervento di flebectomia mini-invasiva completato in seguito con una scleroterapia. Il trattamento delle varicosità safeniche e delle collaterali safeniche richiede una tipologia di intervento alle varici più complessa: valvuloplastica, CHIVA, stripping corto, lungo crossectomia e scleroterapia… sono queste le soluzioni chirurgiche più adottate e tra le quali scegliere prima dell’intervento.
Da sapere prima di un intervento alle varici
È molto importante che il chirurgo flebologo sia padrone di tutte le tecniche chirurgiche, nonché scleroterapeutiche. Solo così la scelta chirurgica potrà essere orientata dal quadro clinico ed emodinamico, e volta a ottenere un miglior risultato funzionale ed estetico con la minore aggressività possibile. È necessario, comunque, considerare sempre l’età di una paziente che deve essere sottoposta ad un intervento chirurgico alle vene varicose, le possibili gravidanze, il peso, la sedentarietà.
La malattia varicosa è da considerarsi sempre evolutiva, e per la scelta chirurgica questo problema deve essere tenuto sempre presente. Anche il trattamento delle complicanze della malattia varicosa ha risentito dei radicali cambiamenti di indirizzo degli ultimi dieci anni: ulcere, tromboflebiti, ipodermiti, anche nei pazienti molto anziani possono essere trattate con straordinario successo con un tipo di intervento alle varicose e con metodiche chirurgiche conservative in anestesia locale, senza rischio, e con brevissimi tempi di degenza.
Pubblicato da ABCsalute
30° Convegno Annuale di: Flebologia Oggi
FLEBOLOGIA OGGI 2016 – INNOVAZIONE E TECNOLOGIA
Responsabile Scientifico: L. Scaramuzzino
ACCREDITAMENTO ECM
Crediti ECM: 6
Il congresso è stato accreditato presso gli organi competenti del Ministero della Salute per tutte le figure profesasionali.
Per conseguire i crediti è necessario: ritirare la cartellina ECM al momento della registrazione, partecipare in misura del 100% ai lavori congressuali, riconsegnare la modulistica debitamente compilata e firmata al termine dell’evento in segreteria; raggiungimento di almeno il 75% delle risposte esatte del questionario di valutazione.
Per l’iscrizione prego rivolgersi alla segreteria organizzativa.
SEDE DEL CONVEGNO:
Sala Convegni Istituto Sacro Cuore
Corso Europa, 84 – 80127 Napoli
SEGRETERIA ORGANIZZATIVA E PROVIDER ECM:
Euro Medical Service S.r.l.
Via A. Manzoni, 259 – 80123 Napoli
Tel. 0815752799 – mobile 3939912739
www.emsgroup.it – info@emsgroup.it
PROGRAMMA DEL CONVEGNO FLEBOLOGIA OGGI
08:30 – 09:00 Registrazione Partecipanti
09:00 – 09:10 Presentazione del Convegno: L. Scaramuzzino
SESSIONE I
Presidente: P.L. Antignani
Moderatori: M.A. Farina, S. Montagnani
09:10 – 09:20 L’importanza della nutrizione – A. Caratenuto
09:20 – 09:30 Nutrizione come terapia – G. Castaldo
09:30 – 09:40 Il parere dell’oncologo – M. D’Aiuto
09:40 – 09:50 L’elastocompressione nello sportivo – L. Scaramuzzino
09:50 – 10:10 Scleroterapia e trombosi: opinioni a confronto
Il parere dell’angiologo – A. Niglio
Il parere del coagulologo – A. Tufano
10:10 – 10:40 Tavola Rotonda e Discussione Interattiva con i partecipanti
SESSIONE II
Presidente: C. Allegra
Moderatori: S. de Franciscis, P. Tondi
10:40 – 10:50 Casi clinici di piede diabetico – E. Cappello/F. Pompeo
10:50 – 11:00 Piede diabetico: rivascolarizzazione endovascolare – G. Morelli Coppola
11:00 – 11:10 Il trattamento medico del piede diabetico – P.L. Antignani
11:10 – 11:20 Trattamento conservativo del piede diabetico – A. Gröger
11:20 – 11:30 Polinucleotidi e derma porcino – L- Scaramuzzino
11:30 – 11:40 Linfodrenaggio e trattamento del dolore con MAM – S. Mandolesi
11:40 – 11:50 Il ruolo dell’ossigenoterapia nelle ulcere flebostatiche – M. De Luca
11:50 – 12:00 PDTA piede diabetico – L. Maresca
12:00 – 12:30 Discussione interattiva con i partecipanti
12:30 – 13:20 Light lunch
SESSIONE III
Presidente: L. Consiglio
Moderatori: B. Amato, G. Botta
13:20 – 13:30 Il Tecnico flebologo: una novità – A. d’Alessandro
13:30 – 13:40 Il trattamento delle iperpigmentazioni degli arti inferiori – M. Izzo
13:40 – 13:50 La terapia medica, novità – M. Pagano
13:50 – 14:00 Nuove tecnologie in flebologia – B. Bernardo
14:00 – 14:20 Discussione interattiva con i partecipanti
14:30 – 15:30 Tavola Rotonda con gli esperti: 2016 il trattamento delle vene varicose
Presidente: R. Del Guercio
Moderatori: M. Danese, S. De Franciscis
14:30 – 14:40 Il ruolo dell’ecocolordoppler nella procedura elves – D. Guarnaccia
14:40 – 14:50 Laser endovascolare – F. Zini
14:50 – 15:00 Radiofrequenza – F. Arienzo. G. Morelli Coppola
15:00 – 15:10 Scleromousse – W. Pacelli
15:10 – 15:20 Chiva – L. Scaramuzzino
15:20 – 15:30 La recidiva varicosa: aspetti emodinamici ed istologici – a. Sellitti
15:30 – 16:30 Discussione interattiva con i partecipanti e i relatori
B. Amato, P.L. Antignani, M. Apperti, G. Botta, F. Carbone, L. Consiglio,
L. del Guercio, M.A. Farina, C. Foggia, A. Gröger, W. Pacelli, A. Sellitti, P. Volpe
16:30 – 17:00 Chiusura del Convegno e Test ECM
a margine del Convegno si svolgerà una iniziativa di
Medicina preventiva e dello sport per i giovani
Controlliamo i giovani sportivi
dalle ore 9.00 alle 14.00 i giovani potranno essere sottoposti ad una visita finalizzata all’attività sportiva senza rilascio di certificazione.
Flebologia: come evitare problemi alle vene degli arti inferiori
Per restare «in gamba»
«A volte per incoraggiare qualcuno si dice semplicemente “in gamba!”, stessa espressione che si usa per definire la personalità spigliata e risoluta di chi sa il fatto suo. Eppure, nonostante di donne e di uomini “in gamba” in giro ve ne siano tanti, ben pochi di loro fanno attenzione ai segnali importanti che arrivano dagli arti inferiori, dimostrandosi meno “svegli” del dovuto».
Gli aspetti più importanti della trombosi venosa
Con la chiarezza e la semplicità che da sempre lo contraddistinguono, il flebologo Lanfranco Scaramuzzino ci chiarisce alcuni degli aspetti più importanti di una patologia non molto conosciuta ma estremamente comune, la trombosi venosa. «L’importante —chiarisce subito—, è evitare allarmismi ma al tempo stesso fare della sana e utile. Basti pensare che la trombosi venosa è un problema che accomuna e affligge il 50 per cento della popolazione italiana, dalla forma più lieve a quella più grave, e causa circa 20mila decessi l’anno, un dato che è, purtroppo, sottostimato».
Ma quali sono le cause dell’insorgere delle vene varicose, malattia che non si declina solo al femminile? Al primo posto gli esperti mettono la vita sedentaria, seguita dall’obesità e dalle malattia cardiocircolatorie. Per Scaramuzzino «la prevenzione è la migliore arma di difesa. Se si interviene in tempo si riduce significativamente la progressione della malattia venosa ed è per questo motivo che le istituzioni rappresentate dal Collegio italiano di Flebologia si muovono da molti anni per stimolare sempre di più i medici di base e i loro pazienti a non sottovalutare i segnali che arrivano dal corpo».
Tra le cause, al primo posto, gli esperti mettono la vita sedentaria, seguita DALL’OBESITÀ e dalle malattie cardiocircolatorie.
Particolarmente colpiti dalla trombosi venosa sono gli anziani allettati. Ma una certa incidenza la si riscontra anche tra le partorienti. Addirittura questa è considerata dagli addetti ai lavori la prima causa di mortalità. Va detto comunque che non esistono categorie esenti dal rischio. «Trascorrere 7 o 8 ore seduti in spazi ristretti, come quelli dei sediolini di un aereo —prosegue il flebologo— noi la definiamo economy class syndrome, può creare problemi a persone sane, figurarsi a quelle predisposte. Devo poi aggiungere un dato: sono tante le signore che vengono da noi per un problema estetico e ci consentono di fare luce su situazioni più serie e si ritorna al punto di partenza, la prevenzione».
Pubblicato dal Corriere del Mezzogiorno
Chirurgia mininvasiva per il benessere delle vene
Scaramuzzino: «Fondamentale un approccio multidisciplinare»
Un ingranaggio perfetto composto da ventisei ossa, muscoli e complesse articolazioni: il piede è il motore che genera la spinta e assieme alle “pompe veno muscolari” della gamba favorisce il ritorno del sangue al cuore. Una funzione che non tutti conoscono, e quindi sono in molti a ignorare che i nostri piedi, non solo ci permettono di avanzare, ma determinano anche il benessere di vene e arterie. Ecco perché, alterazioni dell’appoggio plantare come il piattismo o l’equinismo, determinano spesso condizioni che non favoriscono il ritorno veno-linfatico, causando un’insufficienza venosa e allo stesso tempo una situazione di stasi che contribuisce a peggiorare il quadro complessivo.
Nasce di qui l’importanza di un approccio multidisciplinare, e quindi di una sinergia tra flebologo, posturologo e ortopedico. Un lavoro di squadra che si rivela essenziale sia per prevenire che per trattare condizioni miste di insufficienza venosa e di alterazioni posturali che possono accentuare problemi di vene varicose o di ulcere. Vale però la pena spiegare, almeno in linea di massima, cosa sono le vene varicose. Da manuale, per “varicosi” o “malattia varicosa” si intende una dilatazione patologica permanente di una vena associata ad una modificazione di tipo regressivo delle pareti venose. In parole semplici si ha una dilatazione che può essere localizzata, con almeno una zona di nodosità, o diffusa.
Quali sono i fattori di rischio delle vene varicose?
Anche se esiste una predisposizione genetica alla costituzione della debolezza delle pareti venose, sono molti i fattori di rischio che possono portare a questa patologia. Le più colpite sono le donne, ma anche gli uomini posso soffrirne, soprattutto se trascorrono ore seduti alla scrivania. Le vene, diversamente dalle arterie, non posseggono uno strato muscolare molto sviluppato, quindi la vena si dilata quando la parete tende a rilasciarsi, a causa di una quantità di sangue superiore alla norma, oppure per un suo rallentamento. Questo processo può essere contrastato dai muscoli che circondano la vena, ma se la loro spinta è insufficiente allora la dilatazione può divenire costante.
“Operare in sinergia è essenziale per prevenire e per trattare condizioni miste di insufficienza venosa e alterazioni posturali che possono accentuare problemi alle gambe”
Come prevenire l’insufficienza venosa:
Con un lavoro efficace si riesce anche a ridurre le recidive dell’insufficienza venosa e delle sue complicazioni. Anche se intervenire in maniera precoce aiuta ad ottenere il massimo del risultato, le tecniche moderne consentono di procedere senza troppi fastidi anche nei casi più gravi. Interventi di chirurgia mininvasiva in anestesia locale, conservativi (quindi senza asportare le safene dilatate e insufficienti), ecoguidati, ma anche laser, radiofrequenza, scleroterapia, permettono di intervenire sia nelle fasi precoci che nelle condizioni più avanzate, con risultati funzionali ed estetici eccellenti e senza dover ricorrere a lunghi periodi di convalescenza.
In altre parole, con una ripresa praticamente immediata. Un accurato studio ecocolordoppler è il metodo principale per dare inizio ad un programma di “remise en forme” delle proprie gambe senza trascurare, quindi, una valutazione posturale e baropodometrica. In questo contesto, un’attenzione particolare è rivolta oggi verso la terapia rigenerativa cellulare: piastrine (fattori di crescita) e lipofilling, anche in campo flebologico, aprono scenari molto promettenti sia per le ulcere che per gli inestetismi cutanei.
Infine, da non trascurare assolutamente il fattore peso, che agisce sia sul fronte della stasi veno-linfatica sia a livello delle articolazioni, contribuendo a ridurne la funzionalità delle vene danneggiandole precocemente. E visto che siamo vicini all’estate dedichiamo un po’ di attenzione alle nostre gambe con un programma di controllo alimentare, attività fisica e magari con l’assunzione di flavonoidi che possono contribuire a migliorare il tono veno-linfatico, favorendo anche il ritorno venoso, riducendo quei fastidi tipici del periodo primavera-estate come senso di peso, stanchezza delle gambe, prurito e gonfiore.
Pubblicato dal Corriere del Mezzogiorno